Messina Denaro dal carcere: “La Palermo bene ha paura”

Nonostante sia in 41 bis Matteo Messina Denaro fa arrivare messaggi all’esterno, per lo meno quelli durante i colloqui con la dottoressa.

Matteo Messina Denaro
Matteo Messina Denaro – Nanopress.it

Nell’ultimo incontro le ha chiesto se fosse mai stata a Palermo, descrivendola come una meravigliosa città di un milione di abitanti. Poi il suo tono si fa serio e riferisce alla sua interlocutrice che ora quelli che si credono più per bene e intoccabili, hanno paura che prima o poi i Carabinieri vadano a bussare anche alla loro porta. Poi il volto si apre in un ghigno ampio, che mette paura. Le nuove confessioni, seppur velate, farebbero intendere a una rete che continua a infittirsi, quella dei collaboratori dell’ex latitante numero 1 d’Italia. Non solo criminali ma anche persone insospettabili.

I messaggi di Matteo Messina Denaro dal 41 bis

Si trova ancora in regime di carcere duro Messina Denaro, l’ultimo boss di Cosa Nostra arrestato il 16 gennaio a Palermo, portato via in manette dalla clinica privata dove era in cura per il cancro al colon.

Per questa malattia sta seguendo una terapia dal carcere a L’Aquila e nessuno ha contatti con lui tranne il personale medico e quello penitenziario. L’uomo infatti è al 41 bis, regime carcerario duro per isolarlo dai contatti esterni ma anche interni alla struttura, in modo che non possa continuare a impartire ordini.

Questo regime è stato fortemente voluto all’inizio degli anni Novanta proprio da colui che ha contribuito ad uccidere, il giudice Giovanni Falcone, simbolo della lotta alla mafia insieme a Borsellino.

È in realtà è vero, Messina Denaro non parla con nessuno e gli unici rapporti umani che ha sono con il suo avvocato Lorenza, il personale carcerario e i dottori che lo seguono per le cure. Nell’ultimo colloquio, alla dottoressa che lo visita ha riferito, quasi esplicitamente, che nel suo caso sono invischiate tante persone della Palermo bene.

Le dichiarazioni di Matteo Messina Denaro sono venute alla luce ora ma in realtà risalgono a un po’ di tempo fa, dopo quelle del procuratore della città, Maurizio De Lucia, che aveva spiegato come Cosa Nostra sia riuscita a entrare a contatto con persone di alto rango, i cosiddetti salotti buoni di Palermo dove si parla di affari, appalti, finanziamenti e dove si decidono le pubbliche politiche.

Il magistrato si è soffermato sul fatto che la criminalità organizzata ha sempre avuto rapporti stretti con questa parte della società e quindi il boss ha goduto di un ampio appoggio, il quale spiega tutti gli anni di latitanza proprio nella sua terra natale.

Non si capacita dell’arresto

Sono emozioni contrastanti quelle di Messina Denaro, l’uomo che si credeva intoccabile e che non capisce come sia stato possibile il suo arresto, anche perché era sicuro che nessuno dei suoi aiutanti lo avrebbe mai tradito.

In effetti non sbagliava perché è lui stesso ora a dire che gli esponenti della Palermo bene non graffiano più, hanno ritirato gli artigli e si sono nascosti perché hanno paura di lui ma più di questo, temono che le indagini sulla latitanza conducano a loro.

Queste, coordinate dal procuratore De Lucia e dall’aggiunto Paolo Guido, si sviluppano giorno per giorno portando sempre a nuovi arresti. Il capomafia trapanese ha vissuto gli ultimi 30 anni indisturbato facendo affari milionari e muovendosi in Italia.

Fermato, in tutti i sensi, dalla malattia che ha colpito aggressivamente il colon, ora è carico di veleno e punta il dito sulla città, facendo credere che potrebbe avere avuto a che fare con persone della borghesia palermitana, dei salotti del capoluogo. È un’analisi che sviluppa in carcere.

Messina Denaro non aveva mai contemplato l’idea di poter essere arrestato né tantomeno di essere tradito. E la sua rabbia in carcere, camuffata da uno spaventoso ghigno, l’ha portato ad ipotizzare che qualcuno lo abbia venduto, forse qualcuno che lavorava nella clinica Maddalena, in cui è stato arrestato.

Dunque questo apre un nuovo scenario: è possibile che nonostante tutti hanno affermato in quell’ambiente di non sapere chi fosse in realtà quello che si spacciava per Andrea Bonafede, qualcuno sapesse la sua vera identità e lo abbia denunciato? In questo caso bisognerebbe approfondire le indagini all’interno della clinica per capire chi fosse coinvolto.

Messina Denaro non ha mai pensato a una soffiata da Campobello di Mazzara, il suo regno, dove in effetti aveva molti complici, come un insegnante affiliato a lui che per ripulirsi al coscienza faceva partecipare i suoi studenti a progetti sulla legalità.

Fedelissima era la sorella Rosalia e proprio i pizzini inviati a quest’ultima hanno portato i Carabinieri del Ros verso il blitz del 16 gennaio. Da questi si evince che il latitante era in pieno regime di attività nonostante fosse costretto a nascondersi, anche se in realtà non è sempre stato rintanato nei suoi covi siciliani ma ha anche girato altre regioni, ad esempio in un’estate ha trascorso un periodo di vacanza in un resort lussuoso, proprio qui avrebbe acquistato l’orologio da 20mila euro che aveva addosso il giorno dell’arresto.

Rosalia Messina Denaro
Rosalia Messina Denaro – Nanopress.it

Nel suo territorio, Messina Denaro era tornato solo per sottoporsi agli interventi chirurgici, qui si sentiva protetto, inoltre c’erano i suoi familiari, fra i quali il medico Giuseppe Guttaduro, aiuto primario di Chirurgia che per molti anni ha lavorato all’ospedale civico di Palermo.

Anche quest’ultimo era attivo nel mondo della criminalità, infatti era capomafia a Brancaccio, però non aveva perso i suoi contatti con la struttura sanitaria e nemmeno la sua mano precisa.

I guai giudiziari hanno costretto il medico ad allontanarsi dall’ospedale però aveva trovato una buona attività per compensare la “perdita” di lavoro, infatti dal suo salotto di casa impartiva lezioni di mafia e politica, ma anche sull’esito pilotato delle gare di appalto.

Era poi in contatto con sindaci e personalità di spicco della Palermo bene, i quali ricambiavano con soffiate sulle indagini in corso, svelando anche che nel salotto c’erano delle microspie.

Riassumendo quindi, intorno a Messina Denaro gravitavano professionisti, membri della pubblica amministrazione, imprenditori rappresentanti delle istituzioni. Tutto ciò costituiva un sistema di relazioni molto ampio dove i gruppi criminali mafiosi si muovevano agilmente, soprattutto il boss, che conosceva bene i meccanismi e le pedine più importanti dello scacchiere di Cosa Nostra.

Ma se davvero si fidava della sua cerchia, veramente l’arresto è dovuto a un insieme di elementi di indagine oppure qualcuno ha parlato troppo, come ipotizza Messina Denaro?

 

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