“La strage Covid in Val Seriana favorita dai geni di Neanderthal”: il nuovo studio

Negli ultimi due anni l’istituto Mario Negri ha deciso di effettuare uno studio sul Covid-19, chiamato Origin, nella zona di Bergamo epicentro della pandemia in Italia. Grazie a questo studio si è potuto scoprire che la comparsa dei sintomi gravi e lo sviluppo della malattia grave sarebbe riconducibile alla presenza dei geni dei Neanderthal.

Presentazione dello studio a Milano
Presentazione dello studio a Milano – Nanopress.it

Questi geni non sarebbero presenti in tutte la popolazione mondiale, ma solamente in parte, entrerebbero in azione quando l’individuo contrae la patologia dando una risposta immunitaria eccessiva e causando quindi lo sviluppo di sintomi gravi tra cui polmonite e problemi respiratori che portano al ricovero ospedaliero. Lo studio è stato pubblicato sulla rivista iScience e presentato a Milano.

Alla base delle cause dei sintomi gravi da Covid-19 ci sarebbero i geni dei Neanderthal

Negli ultimi due anni un team di scienziati appartenente all’Istituto Mario Negri ha eseguito uno studio sul Covid 19. In particolare è andato ad analizzare la possibilità che vi fosse una relazione genetica correlata alla gravità dei sintomi riscontrati.

Per farlo ha scelto di eseguire i suoi studi in quella che fu l’epicentro della pandemia in Italia, ossia Bergamo dove ricordiamo ci furono circa 6200 morti solo nelle prime settimane dell’inizio della pandemia.

Secondo questo studio, che è stato pubblicato sulla rivista iScience, chiamato “Origin” alla base della causa dei sintomi gravi del Covid-19 ci sarebbero i geni ereditati dai Neanderthal che aumenterebbero il rischio di contrarre la malattia in forma grave.

Non tutte le persone al mondo presentano ancora questi geni, ma solo una parte della popolazione, e questo, sebbene fino ad oggi non sia mai stato un problema, si è rilevato essere un punto a sfavore per chi li ha.

Lo studio ha avuto inizio perché gli scienziati hanno iniziato a chiedersi come sia stato possibile che in un singolo capoluogo un gran numero di persone abbia contratto la malattia in forma grave, arrivando alla morte, mentre un altro gruppo abbia riscontrato sintomi lievi o inesistenti.

Gli scienziati volevano capire quale fosse la differenza tra i due gruppi e così ha cominciato ad analizzare proprio la popolazione di Bergamo. E le conclusioni a cui sono arrivati è che chi ha mantenuto dei geni dei Neanderthal è più propenso a contrare la malattia in forma grave.

I risultati dello studio oltre ad essere pubblicati sulla rivista iScience sono anche stati presentati a Milano.

Giuseppe Remuzzi
Giuseppe Remuzzi – Nanopress.it

Cosa hanno scoperto i scienziati

Secondo quanto riportato nello studio è stato dimostrato che una certa regione del genoma umano può essere associata al rischio di contrarre il Covid-19 ammalandosi in forma grave.

Giuseppe Remuzzi, direttore dell’istituto Mario Negri Irccs, ha commentato lo studio affermando che è “sensazionale” che tre geni dei Nanderthal siano arrivati alla popolazione odierna. In particolare che sia arrivato il genoma di Vindija che risale a più di 50mila anni fa ed è stato individuato in Croazia.

Per Remuzzi questo gene una volta doveva avere un ruolo importante per difendere i Neanderthal dalle infezioni che si potevano contrarre all’epoca, oggi invece rappresenterebbe un problema.

La risposta immunitaria eccessiva che fornisce questo gene non protegge l’individuo ma lo espone ad una malattia grave.

Secondo lo studio le persone che posseggono il gene potrebbero essere circa 1 milione in tutto il mondo e sono le stesse che morirebbero per predisposizione genetica, quando ovviamente non vi sono altre cause.

Lo studio “Origin” è stato svolto a Bergamo dove è stata coinvolta l’intera popolazione residente. Allo studio hanno scelto di aderire 9733 persone che hanno compilato un questionario per raccontare la loro storia clinica familiare prima del Covid-19.

Tra i partecipanti alla ricerca, 12 persone avevano sviluppato i sintomi già nei mesi precedenti al 2020, ossia tra novembre e dicembre del 2019.

All’interno dei volontari sono stati individuati 1200 persone tutte residenti e nate a Bergamo e provincia, sono poi state divise in tre gruppi omogenei seguendo determinate caratteristiche e fattori di rischio.

I tre gruppi erano formati tutti da 400 partecipanti ciascuno, 400 di loro avevano contratto il Covid in forma grave, 400 in forma lieve e gli ultimi 400 non lo avevano contratto.

Una delle caratteristiche del primo gruppo, oltre ad aver contratto la malattia in forma grave, è anche quella di avere una frequenza maggiore di parenti di primo grado deceduti a causa del Covid.

Secondo gli scienziati questa caratteristica evidenzia l’importanza della genetica nel contrarre la patologia in forma grave. Sono stati analizzati i campioni di Dna attraverso un Dna microarray che è una tecnologia che può leggere migliaia di variazioni.

Questo strumento ha permesso di individuare la regione del Dna che è responsabile delle varie manifestazioni della patologia. È proprio in questa regione che il 7% degli italiani ha una variazione dei nucleotidi che vengono ereditati tutti insieme.

Questo gruppo viene chiamato aplotipo. Da quanto spiegato da Marina Noris, responsabile del Centro di genoma umano dell’istituto Mario Negri, è questo aplotipo di Neanderthal a causare il rischio di contrarre la malattia in forma più grave.

Sono in particolare tre geni i responsabili di questa suscettibilità verso il Covid-19, e sono i geni CXCR6 e il gene CCR9 che sono i geni responsabili a comunicare con i globuli bianchi, ma sono anche quelli che si occupano di causare infiammazioni quando c’è un infezione.

Il terzo gene è LZTFL1 che invece è il responsabile della funzione e della formazione, nonché dello sviluppo, delle cellule epiteliali che si trovano nelle vie respiratorie.

Di questi tre non è ancora chiaro quale sia il gene che gioca un ruolo fondamentale nello sviluppo della malattia in forma grave.

Durante lo studio sono state identificate nuove regioni, in particolare 17 genomiche di queste 10 sono associate allo sviluppo della malattia severa, le altre sette invece sarebbero legate al rischio di infezione.

Una scoperta quindi incredibile che permette di far chiarezza in parte sui differenti modi di contrarre la patologia.

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