Aborto in Italia: l’Europa ci bacchetta, ma come stanno davvero le cose?

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In Italia il diritto all’aborto non è garantito alle donne così come dovrebbe. Il Belpaese, nonostante quanto scritto nella legge 194 sull’aborto, viola il diritto alla salute delle donne per le troppe difficoltà che si vedono costrette ad affrontare quando decidono di avvalersi dei servizi d’interruzione di gravidanza. Inoltre i medici non obiettori sono puntualmente discriminati all’interno delle strutture in cui svolgono il proprio lavoro. Riassumendo è così che si è espresso il Consiglio d’Europa in seguito a un ricorso presentato dalla Cgil. Una sentenza che anche la segretaria Susanna Camusso ha definito storica perché ribadisce l’obbligo della corretta applicazione della legge 194, che non può restare soltanto sulla carta.

Perché sottoporsi ad aborto, per una donna italiana può essere un’esperienza impossibile, per via delle carenze delle strutture sanitarie che ”non adottano le necessarie misure per compensare le mancanze del servizio fornito, causate dal personale medico che decide di invocare il suo diritto di obiezione di coscienza”. Il Consiglio d’Europa ha infatti ribadito che ”esiste una violazione” del diritto di ricorrere all’aborto volontario, sottolineando la ”discriminazione su base territoriale e di status socio-economico tra le donne incinte che hanno accesso all’aborto legale e quelle che non l’hanno”.

I GINECOLOGI OBIETTORI
Dal 2006 al 2013 i medici ginecologi obiettori italiani sono aumentati, dal 69,2% al 70% del totale, anche se va detto che il numero degli obiettori di coscienza nei consultori è invece molto inferiore rispetto a quello registrato nelle strutture ospedaliere. Nei documenti presenti per il ricorso, la Cgil elencava una serie di dati relativi al numero di medici obiettori e non obiettori, rivelando che a livello nazionale gli obiettori variavano tra un minimo del 67% al nord e l’80,5% al sud, mentre le realtà locali erano ancora più in difficoltà. Percentuali che non sono cambiate negli ultimi anni, secondo quanto spiegato dalla deputata Pd Roberta De Agostini, che ha presentato diverse interrogazioni al governo sul tema: ”In alcune regioni le percentuali di obiezione tra i ginecologi sono superiori all’80 per cento: in Molise (93,3 per cento), in Basilicata (90,2 per cento), in Sicilia (87,6 per cento), in Puglia (86,1 per cento), in Campania (81,8 per cento), nel Lazio e in Abruzzo (80,7 per cento). Quattro ospedali pubblici su dieci, di fatto, non applicano la legge 194 e continuano ad aumentare gli aborti clandestini”. Ma, secondo l’ultima Relazione al Parlamento sulla legge 194, trasmessa dal ministero della Salute nello scorso novembre, il numero di non obiettori (1.490 nel 2013) risulterebbe congruo rispetto al numero delle richieste di interruzioni volontarie di gravidanza.

IL NUMERO DEGLI ABORTI
Analizzando i dati ufficiali, ovvero come detto prima, l’ultima pubblicazione del Ministero della Salute trasmessa al Parlamento, e confrontando punti nascita e punti Ivg non in valore assoluto, ma rispetto alla popolazione femminile in età fertile, a livello nazionale, ogni 5 strutture in cui si fa un’Ivg, ce ne sono 7 in cui si partorisce. Nel 2014, per la prima volta, il numero di interruzioni volontarie di gravidanza è stato inferiore a 100.000. Sono state notificate dalle Regioni 97.535 Ivg, con un decremento del 5.1% rispetto al dato definitivo del 2013 (105.760 casi), più che dimezzate rispetto alle 234.801 del 1982, anno in cui si è riscontrato il valore più alto in Italia. Per quanto riguarda il 2013, si conferma la stabilizzazione del contributo percentuale delle donne straniere, pari al 34% delle Ivg. Resta costante, e la più bassa a livello internazionale, la percentuale di aborti ripetuti: il 26.8% delle Ivg viene effettuata da donne con una precedente esperienza abortiva

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