Turchia, Erdogan non si ferma e attacca Gulen: ‘È un terrorista’. Oltre 10mila gli arresti

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Non si ferma il pugno di ferro di Recepp Tayyip Erdogan dopo il fallito golpe in Turchia. Il paese è nel caos con ondate di arresti che stanno sfiorando cifre impressionanti e che stanno coinvolgendo tutti i settori della società, dall’esercito alla magistratura, passando per la scuola e i media. Il presidente turco sta mostrando tutto il suo potere, forte del consenso popolare che non gli è mai mancato dalla serata del tentato colpo di Stato. L’ossessione verso Fethullah Gulen, il ricco predicatore in esilio negli USA, si sta trasformando in una realtà sempre più pericola: la tensione con gli Stati Uniti è ancora altissima, ancora di più dopo l’invio di un dossier con le prove del coinvolgimento di Gulen nel golpe per chiedere l’estradizione. Non solo. Secondo quanto riportato da Repubblica, ci sarebbero tracce radar che collocherebbero un aereo cisterna americano a fianco degli F-16 golpisti usati dai ribelli.

LA VENDETTA DI ERDOGAN: IL VERO VINCITORE DEL GOLPE È LUI

La Turchia assiste all’escalation del potere sempre più autoritario di Erdogan, ormai padre padrone della nazione, tra gli applausi e le bandiere. Il presidente ha parlato alla folla a Istanbul, tornando ad attaccare Gulen e gli Stati Uniti, dove il magnate dell’informazione suo ex alleato vive dal 1999. “Alcuni media internazionali hanno visitato la Pennsylvania“, ha scandito alla folla, riferendosi allo Stato in cui vive l’imam. “Ora, io vorrei chiedere a questi media: se avessero intervistato Bin Laden quando le Torri Gemelle sono state attaccate, cosa avreste pensato?“. Il parallelismo tra Gulen e il terrorismo continua dalle prime ore dopo l’attacco e sembra raccogliere i suoi frutti: a queste parole, la folla ha risposto urlando “Allah Akbar“, Allah è grande, e ha mostrato manichini di Gulen impiccato.

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Se fossi rimasto nel resort di Marmaris 15 minuti in più sarei stato ucciso o catturato“, ha raccontato ai sostenitori, specificando che sarà fatta formale richiesta agli Stati Uniti per l’estradizione di Gulen. Il dossier con le prove è già pronto e in viaggio verso gli USA che, dice alla folla, dovranno dare alla Turchia l’imam. Lo stesso primo ministro Binali Yildirim ha confermato che il ministro della giustizia ha inviato “quattro dossier per l’estradizione” del religioso. “Presenteremo più prove di quelle che vogliono“.

Sulla pena di morte arriva poi l’ennesimo affondo. A nulla sono servite le condanne arrivate dall’Europa : davanti ai suoi sostenitori, ha chiarito di essere pronto a reintrodurla nel paese. “La pena di morte c’è negli Stati Uniti, in Russia, in Cina e in diversi Paesi nel mondo. Solo in Europa non c’è“, ha ricordato, spiegando che, seppur eliminati, può essere “non ci sono statuti irrevocabili“. Il suo sì è legato al via libera del Parlamento, ha detto: considerando che il suo partito, l’AKP (Partito per la Giustizia e lo Sviluppo), ha la maggioranza assoluta, sarà solo una questione di tempo e di opportunità politica.

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Le accuse agli USA
Ci sono poi le indiscrezioni sulla possibile complicità degli Stati Uniti con i golpisti. A lanciarle è la Repubblica secondo cui la notte del fallito golpe dall’aeroporto di Incirlik un aereo cisterna americano si sia alzato in volo per rifornire gli F-16 dei ribelli, usati per colpire il Parlamento e, si sospetta, anche per un tentare di uccidere Erdogan. I dati dei radar sembrerebbero confermare quel viaggio, ma, ricorda Gianluca Di Feo, la pista di Incirlik è divisa tra USA e Turchia, come la nostra Sigonella. Così, gli americani sostengono che l’aereo è partito dalla parte turca e per di più le operazioni sono sotto il controllo del “Decimo Tanker Group, il generale Bekir Ercan Van, arrestato domenica insieme ad altri undici militari“. La situazione è tutta da chiarire come lo è il ruolo dell’aeronautica nel golpe fallito, ma ogni cosa fa comodo alla politica delle “purghe” inaugurata da Erdogan che non ha intenzione di fermarsi, davanti a nessuno. Neppure gli Stati Uniti.

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