Selfie: tv di servizio o trash tv?

simona ventura selfie

Continua a imperversare sul piccolo schermo il factual makeover, genere a cui afferiscono tutti quei programmi che mettono al centro il processo di trasformazione di coloro che chiedono l’aiuto della tv per cambiare aspetti di sé e della propria vita. Già nel 1998 era sbarcato su Italia Uno Il brutto anatroccolo che, grazie all’azione di truccatori, parrucchieri e stylist, aiutava le persone a migliorare il proprio look. Fu seguito poi da Bisturi i cui protagonisti si sottoponevano a interventi di chirurgia plastica.

Negli ultimi anni, però, sono stati soprattutto i canali tematici e semigeneralisti, molti dei quali nati con l’avvento del digitale terrestre, a rappresentare l’approdo ideale per questo genere di programmi, di derivazione principalmente estera.

Ebbene, la generalista ora ci riprova con l’ultimo arrivato nella schiera dei makeover: Selfie. Le cose cambiano, in onda il lunedì in prima serata su Canale5 con la conduzione di Simona Ventura.

Selfie si propone – grazie all’intervento di esperti quali chirurghi, nutrizionisti, psicologi – di aiutare persone in difficoltà, che non riescono ad accettarsi per quel che sono, a intraprendere un percorso di cambiamento. A decidere se e chi aiutare ci sono i cosiddetti ‘mentori’: tre coppie formate da personaggi noti: Katia Ricciarelli con Simone Rugiati, Alessandra Celentano con Ivan Zaytsev, Stefano De Martino con Mariano Di Vaio. Il loro lavoro, in ciascuna puntata, viene valutato da una giuria composta da Tina Cipollari, Aldo Montano, Paola Caruso, dalla Marchesa Daniela Del Secco D’Aragona e lo youtuber Yuri Sterrore, in arte Gordon. A questa, si affianca poi una giuria ‘popolare’ costituita dal pubblico.

I casi proposti da Selfie sono i più disparatI: c’è chi si rivolge al programma per migliorare il proprio aspetto fisico dopo una grave malattia, chi ha bisogno di aiuto per risolvere una fobia, chi chiede l’intervento degli stylist per un proprio caro o, ancora, chi per una sera desidera trasformarsi per assomigliare al proprio idolo televisivo. Così, storie di persone che hanno alle spalle un trascorso di grande sofferenza, si accostano a casi molto più leggeri, talvolta al limite del trash. Il tentativo, dichiarato, di voler rappresentare tutti i colori delle emozioni dà in realtà spesso luogo a un effetto piuttosto grottesco.

E poi veniamo al ruolo dei mentori: il loro compito è quello di supportare le persone durante il percorso di cambiamento, divenendo confidenti, sostenendole durante i momenti più difficili della trasformazione. Tuttavia non detengono, di fatto, una specifica competenza o esperienza in virtù della quale avrebbe senso l’assunzione di questo ruolo. La percezione della loro presenza, nell’economia del processo trasformativo, risulta dunque tutto sommato debole. Interessante il fatto che sia proprio il loro operato a diventare oggetto di valutazione da parte della giuria: il factual si mescola con il game e, in sostanza, i mentori diventano concorrenti di una sfida.

Insomma, Selfie cerca di riempire le sue due ore e mezza di puntata mettendoci di tutto un po’: storie drammatiche, momenti più leggeri, siparietti trash, persone comuni e personaggi famosi. Il risultato però è un programma non innovativo, che fatica a catturare l’attenzione e a connotarsi con una propria specifica identità.

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