Riforma pensioni: novità per il 2018, dai lavoratori precoci alla quota 100

Riforma pensioni le novità 2018 e le proposte dei partiti

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Un breve focus sulla riforma delle pensioni: novità, news e cambiamenti introdotti nel 2018 su tutto ciò che concerne la materia pensionistica. Abbiamo raccolto in un post tutte le novità sul tema della riforma pensioni relative al 2018, ivi comprese le proposte dei partiti sul tema in campagna elettorale – con un giudizio sulle possibilità che i propositi dei politici possano poi trovare effettiva applicazione. Se vi avvicinate al momento della pensione qui potete trovare quasi tutto quello che vi serve sapere.

Età pensionabile

Nel 2018, si potrà andare in pensione di vecchiaia con almeno 66 anni e 7 mesi di età e 20 anni di contributi versati. Dal prossimo anno, saranno necessari 67 anni di età. L’adeguamento della speranza di vita farà sentire i suoi effetti anche sulle pensioni anticipate, per cui dagli attuali 42 anni e 10 mesi per gli uomini si salirà a 43 anni e 3 mesi, mentre per le donne si passerà da 41 anni e 10 mesi a 42 anni e 3 mesi.
Se l’importo della pensione maturata è inferiore a 1,5 volte l’assegno sociale, ovvero se è inferiore ai 673 euro, il lavoratore può andare in pensione di vecchiaia solo dopo aver raggiunto i 70 anni. In questo caso, basta aver versato contributi per 5 anni. Nel 2019, l’età minima in questo caso diventerà di 71 anni.
Finora l’unica novità certa è rappresentata da un emendamento all’ultima legge di bilancio che prevede un esonero dell’aumento dell’età pensionabile a 67 anni per 14.600 persone impegnate in 15 categorie di lavori gravosi – per un costo stimato di 100 milioni di euro. Tra i programmi dei partiti in tema di riforma pensioni, le posizioni della Lega e quella del M5S sono molto simili, perché vogliono entrambi un blocco dell’adeguamento dell’età pensionabile. Difficile però che possano poi fare effettivamente quanto hanno promesso, visto che anche una misura di portata così limitata avrebbe un costo rilevante: qualcuno parla di 3 miliardi di euro annui.

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Pensioni lavoratori precoci

Secondo la legge di bilancio per il 2018, i lavoratori precoci hanno lavorato per almeno 12 mesi prima dei 19 anni, e si trovano in almeno una delle seguenti situazioni:

  • sono disoccupati a seguito di cessazione del rapporto di lavoro per licenziamento, dimissioni per giusta causa o risoluzione consensuale e non percepiscono più indennità per il loro stato;
  • assistono, al momento della richiesta e da almeno sei mesi, il coniuge o un parente di primo grado convivente con handicap grave (la legge di bilancio 2018 ha aggiunto alla casistica anche parenti o affini di secondo grado in condizioni di grave disabilità se genitori o coniugi di tali soggetti hanno più di 70 anni, sono deceduti o soffrono di gravi patologie);
  • hanno una riduzione della capacità lavorativa pari o superiore al 74%;
  • lavorano nelle cosidette attività gravose o in mansioni usuranti o notturne.

Chi rispetta queste condizioni, può ottenere la pensione anticipata senza penalità al raggiungimento di 41 anni di contributi, invece che 41 anni e 10 mesi le donne, e 42 anni e 10 mesi gli uomini. Questo requisito contributivo è ovviamente agganciato ai futuri adeguamenti alla speranza di vita.

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Ape volontaria e social

Per quanto riguarda queste forme di pensione anticipata, essendo agganciate ai futuri adeguamenti alla speranza di vita, nel 2019 potranno essere chieste dai lavoratori qualche mese più tardi rispetto al 2018. Ci vorranno cinque mesi di lavoro in più prima di poter maturare i requisiti utili per godere dell’Ape social o dell’Ape volontaria. Vi è da rilevare poi che è possibile accedere all’Ape volontaria solo dal 13 febbraio del 2018 per ritardi nella fase applicativa di questa misura sperimentale.
Per quanto riguarda l’Ape social, dall’inizio dell’anno in corso, è previsto uno sconto per le lavoratrici madri di un anno per ogni figlio – per un massimo di due anni -, per cui una madre con due figli potrà accedere a questo beneficio con 28 anni di contributi invece di 30.

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Rivalutazione pensioni

Tra le novità sulle pensioni per il 2018 bisogna considerare anche la loro rivalutazione, congelata da due anni. Chi riceve fino a tre volte il minimo (501,89 euro) avrà un adeguamento dell’1,1% – è l’inflazione dell’anno passato riconosciuta dall’Istat. Ciò significa che ai pensionati con un assegno di mille euro verrà riconosciuto un incremento di 11 euro mensili.
A chi riceve assegni tra tre e quattro volte il minimo verrà riconosciuto il 95% dell’inflazione misurata con l’ISTAT Foi, ossia l’indice dei prezzi al consumo per le famiglie di operai e impiegati, per cui l’aumento dell’assegno sarà dell’1,045%. A chi riceve una pensione tra quattro e cinque volte il minimo, sarà riconosciuta una rivalutazione pari al 75% dell’inflazione (+0,825%). Agli assegni tra cinque e sei volte il minimo verrà riconosciuta il 50% dell’inflazione (+0,550%). Oltre questo livello la rivalutazione sarà pari al 45% dell’inflazione (+0,495%).

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Pensioni di reversibilità

Il sistema perequativo interverrà anche sulle pensioni di reversibilità, ovvero di quelle prestazioni che vengono riconosciute ai familiari di un pensionato deceduto. Anche gli assegni erogati sotto questa forma subiranno un lieve incremento, seguendo la falsariga che abbiamo spiegato nel paragrafo precedente.

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opzione donna

La Legge di bilancio 2018 non ha prorogato la forma di pensionamento anticipato nota come opzione donna. Questa forma di prepensionamento riservata alle lavoratrici dipendenti di 57 anni ed alle lavoratrici autonome di 58, che hanno versato 35 anni di contributi, è ancora possibile se si maturano queste condizioni entro il 31 dicembre 2015.
Le lavoratrici che hanno optato per questo regime hanno subito una riduzione dell’assegno pensionistico di una percentuale compresa tra il 25 ed il 35% in confronto all’ultimo stipendio percepito. Questo perché la pensione anticipata con Opzione donna è calcolata con il metodo contributivo, mentre andando in pensione più tardi si troverebbero a percepire una somma più vicina all’ultimo stipendio. Anche su questo tema i programmi dei partiti prevedono novità. La loro riforma delle pensioni prevede un ritorno dell’opzione donna negli anni a venire.

Quota 100 e quota 41

I punti forti della riforma delle pensioni contenuta nei programmi di Lega e Movimento 5 Stelle è ovviamente rappresentato dall’abolizione della Riforma Fornero – dovrebbe essere sostituita con la quota 100 e la quota 41.
Nel primo caso si potrebbe andare in pensione di vecchiaia se età più anni di contributi arrivano alla fatidica quota 100. E quindi 62 anni di età più 38 anni di contributi versati, oppure 64 e 36, 65 e 35, 66 e 34, e così via. La quota 41, invece indicherebbe la possibilità di andare in pensione anticipata con 41 anni di contributi versati – in questo caso l’età raggiunta non conterebbe. Quasi tutti i partiti vogliono novità in tema di riforma delle pensioni. C’è Forza Italia che vorrebbe aumentare le pensioni minime, ed il movimento politico guidato da Pietro Grasso – Liberi e uguali -, e pure una parte del Pd. L’ex-ministro del lavoro Cesare Damiano vorrebbe portare avanti una revisione della riforma Fornero, che permetta a tutti di andare in pensione con 41 anni di contributi versati.
Non credo che agli annunci di riforma delle pensioni corrisponderanno i fatti. Per spiegarlo mi basta citare alcune cifre: la famigerata riforma Fornero dovrebbe garantire risparmi attorno ai 20 miliardi annui tra il 2019 e il 2020, e complessivamente circa 200 miliardi di euro nei prossimi dieci anni. Dove trovare queste coperture? E bisogna poi ricordarsi che la legge di bilancio 2018 ha dovuto reperire 15 miliardi per allontanare di un anno l’aumento dell’Iva – un rischio che pesa sui conti italiani fino al 2021.

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Rita o rendita integrativa temporanea anticipata

La rendita integrativa temporanea anticipata (o Rita) è uno degli strumenti contenuti nella riforma delle pensioni prevista nella legge di bilancio 2017. Questo strumento, assieme all’Ape volontaria ed all’Ape social cercava di dare una risposta sul tema della flessibilità in uscita dopo l’introduzione della Legge Fornero.
La Rendita Integrativa Temporanea Anticipata non ha costi per lo stato, perché fa ricorso alle somme accumulate dal lavoratore nei fondi di previdenza complementare durante la sua vita lavorativa. L’insieme del TFR, del contributo datoriale e di quello del lavoratore, può essere riscosso prima del pensionamento sotto forma di rendita mensile.
Questa forma di pensionamento anticipato doveva partire il 1° maggio 2017 e durare fino alla fine del 2018. La Rita però non è riuscita a decollare per una serie di problemi applicativi a cui è stato posto rimedio con la legge di bilancio 2018.
Dall’inizio di quest’anno, possono accedere alla Rita i lavoratori che abbiano cessato la propria attività lavorativa e che entro cinque anni possano maturare l’età per andare in pensione – oltre ad aver versato contributi per almeno venti anni, e vantare almeno cinque anni di iscrizione in forme di previdenza complementare. Se un lavoratore risulta disoccupato da più di due anni, si può accedere alla rendita integrativa temporanea anticipata prima: basta avere un’età che permetta di maturare la pensione di vecchiaia entro dieci anni. Per semplificare la procedura, l’Inps ha previsto che la sussistenza dei requisiti per richiedere la Rita non sia vincolata al rilascio di un’apposita attestazione da parte dell’INPS.

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