Isis, pubblicato un manuale per come trattare le donne schiave

Una lista di domande e risposte su come trattare le schiave sessuali. L’Isis ha pubblicato un manuale per i terroristi che hanno rapito o comprato donne e bambine, anche in età prepuberale, per farne oggetti sessuali: venti domande che risolvono i dubbi degli jihadisti su come trattare le donne, vendendole tra loro con tanto di tariffario (35 euro per le donne di mezza età, 130 per le bambine più piccole). Il Middle East Media Research Institute ha avuto accesso all’originale del documento, traducendolo nella sua interezza: si passa dai prezzi per comprare le bambine di non più nove anni alla giustificazione religiosa degli abusi sessuali.

Il manuale precisa come comportarsi, stabilendo per esempio i casi in cui è lecito picchiarle o fare sesso con loro, anche quando di tratta di bambine che non hanno raggiunto l’età della pubertà. Al momento si calcola che siano 5mila le donne e le piccole di etnica yazida nelle mani degli jihadisti dell’Isis, rapite o comprate all’interno di un mercato nero del sesso.

Secondo il manuale, è lecito vendere o regalare donne e bambine perché appartenenti a una religione diversa dall’Islam, il che le rende delle infedeli. Le regole affrontano le questioni legate alla proprietà (“Cosa succede alle schiave se il padrone muore?”; “Come comportarsi se due padroni hanno la stessa schiava?”; “Se rimane incinta, è possibile vederla?”), ma anche quelle relative al comportamento da tenere nei loro confronti.

Sarebbe così permesso picchiarle, ma senza colpirla in faccia, come è possibile avere rapporti sessuali con bambine che non hanno raggiunto l’età della pubertà “se è adatta per avere un rapporto”, altrimenti “si può godere di lei senza avere un rapporto”. Una serie di orrori che si aggiunge a una lunga lista.

Il film hard usato come propaganda

L’immagine del filmato pubblicata dalla stampa inglese

Un film hard usato per la propaganda anti occidentale. È l’ultima frontiera della campagna mediatica dei jihadisti dell’Isis che hanno utilizzato spezzoni da una pellicola a luci rosse in cui si vede una donna musulmana subire uno stupro di gruppo da parte di uomini in uniforme. Sotto campeggia la scritta: “Basta fratelli che muoiono, basta sorelle che soffrono”. Il video è andato online utilizzando le immagini come esempio delle brutture e violenze perpetrate dagli occidentali sui civili musulmani. A scoprire l’inganno sono state, come riferisce il quotidiano inglese The Independent, le forze del Dipartimento di Stato USA.

Secondo la diplomazia a stelle e strisce, i jihadisti avrebbero usato pezzi di un film a luci rosse ungherese e ora gli esperti stanno cercando di risalire ai realizzatori del video. Non è certo la prima volta che i terroristi dell’Isis usano il web come veicolo di informazione a loro vantaggio.

Questa volta però hanno usato immagini che dovrebbero essere al di fuori della loro portata. Loro che si vantano di essere i “veri salvatori per milioni di musulmani sunniti contro i macellai dell’esercito iracheno-siriamo”, coloro che si fregiano di essere portatori del vero Islam che rifugge la pornografia, eccoli colti con le mani nel sacco a fare incetta di immagini pornografiche pur di servire “la causa”.

Fatto ancora più eclatante, è l’utilizzo di immagini di donne violate per puntare il dito contro “il male” dell’Occidente, facendo passare per reale quello che in realtà è una finzione. Non solo manipolano immagini e parole distorcendo la verità, ma accusano gli occidentali di violenza contro le donne quando loro stessi sono aguzzini di bambine e ragazzine, vendute a poco prezzo come “schiave sessuali”.

Le inchieste condotte dalla stampa inglese, che ha raccolto le testimonianze di alcune jihadiste britanniche della brigata al-Khanssaa, hanno svelato il traffico degli orrori. Sarebbero proprio queste donne di origine europee a gestire dei bordelli in cui vengono rinchiuse bambine e ragazze per lo più yazide rapite dal nord dell’Iraq, lasciate poi alla mercè dei miliziani.

Stupri ripetuti più volte al giorno, che riguardano anche bambine di 12 anni. All’inviato di Repubblica Pietro del Re, lo scorso settembre fu una ragazza di 17 anni a raccontare l’orrore di queste prigioni del sesso. “I nostri aguzzini non risparmiano neanche quelle che hanno un figlio piccolo con loro. Né salvano le bambine: alcune di noi non hanno compiuto neanche 13 anni. Sono quelle che reagiscono peggio a questo schifo. Ce ne sono alcune che hanno smesso di parlare. Una s’è strappata i capelli e l’hanno portata via”, ha svelato la giovane. Ci sono le “stanze della violenza”, dove le giovani vengono stuprate tre volte al giorno.

La violenza sulle donne diventa un’arma a doppia faccia per i jihadisti: da un alto serve per condannare l’Occidente ed ergersi a salvatori; dall’altra viene usata sistematicamente quasi per ripagare i soldati dalle fatiche della guerra.

Usare immagini pornografiche che simulano uno stupro è già di per sé offensivo per chi quella violenza l’ha subita e per chi spera che il sesso non debba esser ridotto a questo. Quando però a farlo sono gli stessi che stuprano quotidianamente bambine e giovani donne, in nome di una presunta santità, si tocca davvero il fondo. Quasi da non essere più definiti essere umani.

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