Emergenza Covid: servono posti letto, ma gli ospedali restano chiusi

Durante la prima ondata dell’epidemia di Covid-19 sono stati molti gli ospedali che, colti di sorpresa, hanno dovuto rivoluzionare le proprie strutture. La situazione emergenziale aveva quindi portato molte amministrazioni a creare impianti temporanei e ospedali da campo ad hoc, chi aveva proposto l’edificazione di nosocomi ex-novo. La realtà però, a rilevarlo Huffington Post, è che in Italia il numero degli istituti di cura negli ultimi 10 anni è colato a picco: le strutture quindi ci sono, ma non vengono aperte.

Quelle di Legnano, Cerreto Sabina e Anagni, sono solo alcune delle strutture di questo tipo. “Assistiamo increduli e arrabbiati a questa situazione in cui ci sono malati da curare e strutture pronte ad ospitarli, ma la politica non muove un dito”, spiegano gli operatori sanitari delle zone interessate.

Persi 200 istituti in dieci anni

L’ultimo rapporto sullo stato del Ssn – Annuario Statistico del Servizio Sanitario Nazionale è stato pubblicato a settembre 2019 e fa riferimento ai dati raccolti fino al 2017. Ne risulta che in 10 anni nel nostro Paese siano andati “persi” 200 istituti di cura.

Nel 2017 il Ssn in Italia disponeva di 1.000 istituti di cura, 51,80% pubblici e 48,20% privati accreditati, per un totale di 191mila posti letto di degenza ordinaria”, riporta l’Annuario del SSn. Nel 2007 gli istituti erano 1.197, divisi al 55% pubblici e il 45% privati accreditati.

Emergenza posti letto

Risulta ovvio, quindi, che anche i posti letto siano diminuiti. Il collasso delle strutture ospedaliere, però, risale a molto prima del 2017: già nel 2007, infatti, prima della crisi economica e dell’austerity, i posti letto negli ospedali erano calati di 90 unità (in totale circa 225 mila sparsi sul territorio) rispetto al 1998, quando erano 311 mila.

Sileri: “Rivedere il Dm 70”

Il dm 70 deve essere completamente rivisto: questa logica giusta dell’hub and spoke che migliora il servizio sanitario nazionale, deve essere implementata riguardando la definizione di territorio”, così a Huffington Post il viceministro della Salute Pierpaolo Sileri, orecisando però: “Il taglio dei posto letto, in alcuni casi eccessivi, la rimodulazione delle strutture sanitarie con implementazione di attività come day surgery e week surgery con intensità di cura concentrata e con degenze sicuramente più brevi hanno portato a un miglioramento dell’offerta sanitaria ospedaliera. Allo stesso modo però non si è proceduto a rafforzare il territorio, cioè a fare rete sul territorio”.

Sileri quindi propone una revisione del dm 70: “Bisogna guardare ai territori intesi non solo come area geografica (ad esempio alcuni centri nascita sono stati chiusi perché in aree geografiche difficilmente raggiungibili), ma anche come territorio di persone. Bisogna valutare l’età, la mobilità, la rete che consente anche l’arrivo nella struttura sanitaria dei cittadini che ci vivono. Penso al Molise, ad esempio: un’area popolata da anziani che non hanno mobilità, con una rete viaria scarsa per quanto riguarda l’alta viabilità, necessita un’attenzione alle esigenze sanitarie della popolazione. Quindi ribadisco: rivedere il dm 70 riaprendo delle strutture con servizi essenziali chiusi in precedenza”.  

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