Arabia Saudita, professore condannato a morte per uso dei social. Cosa comporta e come si vive con la monarchia assoluta Saudita

Un docente di diritto ha ricevuto una condanna a morte per aver utilizzato i social media per esprimere la sua opinione in merito all’Arabia Saudita e alle sue leggi. Il principe e la sua cerchia ristretta non vedono di buon occhio che vengano divulgare notizie inerenti la quotidianità. Questo perché viene screditata l’immagine del Regno.

Salman principe ereditaria Saudita
Mohammed bin Salman, principe ereditario Arabia Saudita – Nanopress.it

La vita dei cittadini sauditi non è semplice e non hanno scelta se non quella di seguire il principe e le leggi islamiche, che sono le fondamenta del Regno, che non ha una reale costituzione ma si basa sul credo islamico e sulle sue imposizioni. Una dottrina che deve essere seguita rigorosamente e che vieta ogni dissenso contro la monarchia e contro ciò che viene deciso dalla famiglia reale.

Arabia Saudita, condanna a morte per il professore Al-Qarni

In Arabia Saudita un professore di diritto, conosciuto per la sua posizione riformista, è stato condannato a morte per diversi reati, tra cui il possesso di un account su Twitter e l’utilizzo di WhatsApp. Ma soprattutto per aver scelto di condividere notizie considerate “ostili” al regno. Questo emerge dai documenti del tribunale visionati dal Guardian.

L’arresto di Awad Al-Qarni, 65 anni, è avvenuto nel settembre 2017 ed è stato solo l’inizio di accanimento contro il dissenso popolare da parte del principe Mohammed bin Salman.

I dettagli in merito alle accuse contro Al-Qarni sono stati condivisi con il giornale Guardian dal figlio Nasser, che l’anno scorso è riuscito a scappare dall’Arabia Saudita nel Regno Unito, dove ha chiesto asilo e abita.

Il docente è stato descritto dai media di stato come un pericoloso squilibrato, ma stando alle affermazioni dei dissidenti era, invece, un intellettuale importante e ben voluto e ciò che ha, concretamente, fatto di lui un criminale è il forte seguito di follower su Twitter, dove era seguito da due milioni di persone.

Dopo di lui sono state condannate altre persone e per il principe ereditario è diventata una priorità scovare chi utilizza il web per diffamare il regno.

Numerose associazioni per i diritti umani e sauditi riformisti che vivono al di fuori dell’Arabia Saudita, hanno rivelato che le autorità del sono impegnate in una nuova e dura repressione nei confronti di individui considerati critici del governo. Lo scorso anno per esempio  Salma al-Shehab, studentessa di Leeds con due figli, ha ricevuto una condannata a 34 anni per avere un proprio account Twitter e per aver seguito e condivido attivisti e nemici del regno.

Anche Noura al-Castani è stata condannata a 45 anni di reclusione per aver utilizzato Twitter.

Per il professore Al-Qarni i pubblici ministeri hanno chiesto la pena di morte, ma il tribunale non ha ancora emesso una sentenza formale.

Emerge da una traduzione dei documenti contro Al-Qarni  l’”ammissione” del professore di diritto di aver utilizzato un account sui social media con il proprio nome (@awadalqarni) e di averlo usato “in ogni occasione… per esprimere le sue opinioni”. I documenti affermano inoltre che ha “ammesso” di aver preso parte a una chat di WhatsApp ed è stato accusato di aver elogiato i Fratelli Musulmani. Anche l’utilizzo continuativo di Telegram da parte di Al-Qarni e la creazione di un account Telegram sono stati inseriti nelle accuse.

Il governo saudita e gli investitori controllati, ovviamente, dallo Stato hanno recentemente ampliato i loro investimenti nell’ambito dei social media.

Lo stesso principe Alwaleed bin Talal è il secondo più grande investitore in Twitter dopo l’acquisizione del social da parte di Elon Musk.

Lo stesso Alwaleed è stato arrestato per 83 giorni durante una manovra anticorruzione nel 2017 e il principe ha confessato di essere stato rilasciato dopo aver raggiunto un’”intesa” con il regno che era “riservata e segreta tra me e il governo”.

La monarchia assoluta e le leggi saudite

L’Arabia Saudita è una monarchia assoluta dal momento in cui è nato il Regno ovvero nel 1932. Il governo saudita segue ciecamente le linee Islamiche in merito alla successione. Qui è dove è nato l’Islam e la Nazione è legata in maniera profonda alle leggi islamiche, che devono essere rispettate e fanno parte della legislatura Saudita. Non esiste una vera e propria costituzione in Arabia Saudita e tutto gira attorno al credo religioso.

La religione ufficiale del regno arabo saudita è l’islam sunnita, nella sua versione giuridica e teologica del wahhabismo. Una linea dura e rigidissima dell’ islam che segue con rigore e dedizione le leggi morali.  Siccome la cittadinanza viene rilasciata,in Arabia Saudita, soltanto a musulmani la popolazione è a prevalenza musulmana e, nel caso non lo sia, ha rigide norme da rispettare.

Nel Regno non è tollerata la libertà religiosa e per le altre religioni è vietato edificare luoghi di culto. Alcune ricorrenze sono però tollerate, se festeggiate in privato, a differenza dei luoghi pubblici dove è prevista anche la pena di morte per i dissidenti religiosi.

Il regime islamico di Stato, in Arabia Saudita, comprende una serie di leggi ufficiali, che sono focalizzate a garantire la rigorosa osservanza delle leggi giuridiche e islamiche degli abitanti del regno. Un punto focale che spicca è il ruolo della donna che, nonostante sia inserito in ambito educativo e lavorativo nel contesto istituzionale, ha comunque una rigida separazione dall’elemento maschile rispetto a quello femminile. La donna è soggetta a una sorveglianza da parte della famiglia, che vigila costantemente. Il genere femminile fino al 2018 non poteva guidare un’automobile, e anche ora per esempio non può fare acquisti da sola.

In Arabia Saudita esisite un controllo costante della popolazione e soprattutto del rispetto dei limiti e divieti e si concretizza nella quotidianità con l’istituzione dei mutawwin, incorporati nel servizio civile della burocrazia saudita fin dagli anni ottanta.

Il gruppo vigila sul rispetto delle leggi islamiche con maniere talora assai discutibili e spicce. Ricorrendo spesso anche a repressioni violente di tipo fisico. Sono incaricati ufficialmente di sorvegliare che siano osservati alcuni precetti morali islamici e soprattutto quelli di natura  giuridica oltre che alle norme di comportamento sociale. Sono controllati anche ad esempio il rispetto dell’obbligo delle cinque preghiere giornaliere da parte dei musulmani e l’astenersi da cibo, bevande e fumo nel corso delle fasi diurne del mese del Ramadan.

I mutawwīn, sono descritti come “commissari per la propagazione delle virtù e la prevenzione del vizio” dato che in Arabia Saudita esiste un ministero del vizio o anche “commissari per la pubblica morale”. Difatti i guardiani anche il compito di controllare e verificare la chiusura dei negozi nel corso dei “momenti di elezione“, delle preghiere obbligatorie e controllano che venga utilizzato un abbigliamento consono in pubblico.

Le donne, come sopra citato, sono integrate in diversi ambiti istituzionali e lavorativi ma non sono sicuramente considerate al pari dell’uomo. Le straniere subiscono pressioni costanti e crescenti per indossare abiti che coprono braccia e gambe. Una cultura molto simile all’Islam praticato in Afghanistan e che prevede quindi misure repressive e violente che possono essere utilizzate verso persone del sesso opposto che dividono spazi pubblici ma possono anche essere puniti per il fatto di viaggiare insieme in automobile.

Sovrano e principe ereditario sauditi
Sovrano e principe ereditario sauditi – Nanopress.it

In terra Saudita le donne possono svolgere soltanto alcune azioni in maniera autosufficiente e autogestita mentre per compiere alcune commissioni e svolgere determinate azioni devono avere necessariamente il consenso di un uomo,  che è un vero e proprio tutore chiamato “mahram”, che deve essere necessariamente un uomo della famiglia o il coniuge. Serve l’ok maschile anche per interventi chirurgici, per la scarcerazione delle donne in carcere ma anche per sposarsi.

 

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