15enne stuprata dal fratello abortisce: condannata a sei mesi di prigione

Violenza Sessuale

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In Indonesia una giovane ragazza di 15 anni era rimasta incinta dopo essere stata violentata per diverso tempo dal fratello. Così ha abortito clandestinamente ma è stata giudicata colpevole per essersi sottoposta all’interruzione della gravidanza in ritardo rispetto ai tempi stabiliti dalla legge. Il motivo è semplice: si è accorta di essere rimasta incinta quando era già troppo tardi, cioè erano passate già 24 settimane, ben oltre il limite massimo concesso a chi, vittima di stupro, vuole interrompere la gravidanza (sei settimane).

Il fratello della quindicenne indonesiana l’aveva stuprata in diverse occasioni (dal processo è emerso che il diciottenne ha abusato sessualmente della sorellina almeno per otto volte) ma quando lei si è accorta che era in atto una gravidanza ha deciso di interromperla. E si è affidata a una clinica clandestina. Forse dopo aver chiesto aiuto alla mamma.

Per evitare la vergogna di una figlio frutto di una violenza incestuosa, la giovane donna ha deciso dolorosamente di abortire e si è rivolta ad una clinica clandestina, dato che in Indonesia l’aborto è concesso in caso di stupro, anche se resta illegale, ma va effettuato nelle prime settimane di gestazione.

La ragazzina invece si è sottoposta all’intervento quando il feto aveva già sei mesi, così la quindicenne indonesiana è stata giudicata colpevole e condannata a sei mesi di carcere per aborto clandestino. Secondo l’accusa la giovane sarebbe stata aiutata da sua madre per sottoporsi all’aborto clandestino, dunque anche la donna è stata imputata.

Il fratello stupratore è stato invece condannato a due anni di carcere, ma non per incesto, né per violenza, ma solo perché ha avuto rapporti con una minorenne.

Il primo grado si è dunque concluso con questa sentenza, ma i pubblici ministeri avevano chiesto la pena di un anno per la ragazza stuprata che ha abortito e una condanna a sette anni per suo fratello stupratore, dunque non si esclude la possibilità di fare appello per modificare in secondo grado la decisione della corte.

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