WhatsApp bloccato in Brasile perché non collaborativo

WhatsApp Brasile

Si riferisce di un Mark Zuckerberg furioso per la decisione delle autorità giudiziarie brasiliane di bloccare per due giorni WhatsApp sul territorio nazionale. Facebook è proprietaria della popolare applicazione di messaggistica istantanea e ovviamente il CEO classe ’84 è direttamente interessato da questa vicenda basata su un ripetuto rifiuto dei responsabili del software di collaborare con la polizia a seguito di un’indagine penale. Da qui, la decisione punitiva di due giorni di stop per i 93 milioni di utenti.

93 milioni di utenti per il 93 per cento della popolazione brasiliana connessa: sarebbe questo il bacino d’utenza interessato dall’iniziativa “punitiva” delle autorità ai danni di WhatsApp, che – non è una sorpresa – è il programma più utilizzato soprattutto dai giovani e da quella ampia fetta di abitanti che vive in condizioni di scarsa disponibilità economica e che dunque desidera comunicare spendendo il meno possibile, anzi non spendendo proprio niente. Eppure è arrivata la secca decisione. Da cosa è stata dovuta?

Sembra che tutto dipenda dal rifiuto di poter accedere ai messaggi provati di un narcotrafficante implicato in un processo. Il tribunale di San Paolo ha chiesto più volte a WhatsApp di poter ricevere le conversazioni da usare come prova, ma ha sempre ricevuto un due di picche.

Facebook Brasile

Sono arrivate le prime reazioni da parte di dirigenti di WhatsApp come nientemeno che l’amministratore delegato di Jan Koum che su Facebook ha postato: “Siamo delusi della decisione miope di vietare l’accesso a WhatsApp in Brasile, perché è uno strumento di comunicazione da cui dipendono tante persone, e siamo tristi nel vedere che il Brasile si vuole isolare dal resto del mondo“. E Zuckerberg: “Oggi un giudice brasiliano ha bloccato WhatsApp per più di 100 persone […] stiamo lavorando duro per ribaltare lo stop, fino a quel momento potete contare su Facebook Messenger che è attivo e può servire per comunicare“. Di sicuro è stato creato un precedente importante, tuttavia – anche se è vero come è vero che la privacy è un diritto – ci sono casi in cui servirebbe più collaborazione.

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