Violentata dal branco a 16 anni, viene insultata sul web: quando l’orrore non ha fine

Brasile, la campagna di Rio de Paz contro la violenza sulle donne

Leggendo della vicenda della ragazza di 16 anni violentata dal branco in un garage a San Valentino Torio (SA), da ragazzini più o meno della sua età, uno pensa che non potrebbe andare peggio. Invece, alla violenza fisica e psichica, ora dobbiamo aggiungere gli insulti del web. Amici e parenti degli stupratori si sono scagliati contro di lei su Facebook. “Vedete come si concia e va in giro?“, è il tenore dei messaggi, fino al più chiaro e sintetico “Se fate le troie, questo meritate“. A scriverli sono per lo più ragazzi, giovani che conoscono i componenti del “branco” e che usano il solito ritornello: se una donna viene violentata è colpa sua, perché è una “facile” e “se lo merita”. A controbilanciare ci sono i post delle giovani, delle amiche e di chi non conosce la vittima ma le esprime tutta la sua solidarietà perché “la colpa è solo loro” e lei è “l’unica vittima”. Purtroppo, questo è solo l’ultimo caso di insulti diretti a una vittima di stupro.

Il caso della 16enne di San Valentino Torio fa male perché siamo di fronte a una minorenne, una ragazzina appena entrata nell’adolescenza che dovrà portarsi il peso della violenza per tutta la vita. Quello che, se possibile, fa ancora più male è che non è un caso isolato. Nel 2015 una 15enne di Loreggia, provincia di Padova, viene violentata in discoteca da un ventenne: alla notizia della denuncia e del processo scatta la gogna mediatica su Facebook. C’è chi la accusa di aver voluto rovinare il ragazzo, chi le augura di “incontrare un extracomunitario così vedi cos’è lo stupro” e addirittura chi fa lo screen shot del suo profilo Facebook e lo pubblica online, con nome e cognome, in barba a tutte le leggi sulla protezione dei minori vittime di violenza.

IL FOTOPROGETTO CONTRO I PREGIUDIZI SULLE DONNE VITTIME DI STUPRO

Di casi simili ce ne sono migliaia. Donne che vengono violentate nel fisico che finiscono per essere colpevolizzate perché “se la sono andata a cercare”. E non succede solo in Italia, dove la cultura patriarcale e maschilista ha radici in quel concetto di “tradizione” che vuole la donna in casa a disposizione dell’uomo. È il mondo intero a essere sbagliato quando si parla di donne e di violenza sessuale.

Prendiamo il caso di Amber Amour, attivista 27enne sudafricana, che è rimbalzato sui media internazionali. Mentre era impegnata nella campagna umanitaria #StopRapeEducate, è stata violentata da un amico che, da ubriaco, le aveva chiesto di fare la doccia insieme. Quando ha deciso di rompere il muro dell’omertà e ha raccontato lo stupro su instagram, pubblicando una foto scattata nei momenti successivi, è stata sommersa di insulti e lo stesso social ha cancellato per due volte la foto.

C’è poi il caso della turista olandese stuprata in Qatar: dopo aver denunciato la violenza è stata arrestata e condannata per adulterio. Come lei, anche una donna norvegese era finita agli arresti per aver denunciato una violenza sessuale negli Emirati Arabi.

LA VITTIMA SCRIVE AI GIUDICI CHE HANNO ASSOLTO GLI STUPRATORI: ‘AVETE GIUDICATO ME E NON LA VIOLENZA’

Si tratta di paesi musulmani, che non rispettano le donne, dicono in molti. Oltre a essere un’affermazione razzista, è del tutto sbagliata. Non vogliamo guardare in casa nostra perché ci spaventa che cinque normali ragazzini possano violentare a turno una 16enne?

Bene, guardiamo agli Stati Uniti. Il paese che “esporta democrazia” nel mondo, compresi i paesi arabi, ha un problema enorme con la violenza sessuale. Nei college (e non nelle strade di periferia, ma nei luoghi dove i bravi ragazzi di famiglia studiano per diventare i leader di domani) lo stupro è la norma. Stando agli ultimi dati, una ragazza su quattro ha subito violenza, ma le istituzioni scolastiche tacciono per non vedere il nome della scuola nel fango (il che significa meno soldi dai finanziatori privati). Così capita che in California uno studente di 20 anni della Stanford University finisce a processo per aver violentato una ragazza e viene condannato a sei mesi (!). Per di più, il padre dello stupratore si scaglia contro la decisione sostenendo che “un’azione durata 20 minuti avrà effetto su più di 20 anni di vita“.

È una questione di educazione sempre e comunque. Lo è in Italia come in Arabia e negli Stati Uniti. La colpa è sì dei ragazzi che hanno violentato una 16enne ma è anche dei genitori che non li hanno educati al rispetto, all’accettare un no, e che li hanno fatti crescere credendo che l’autostima nasca da “prove di forza” in stile preistorico. La colpa è anche della scuola e delle istituzioni che falliscono ogni volta si tratta di parità di genere e di difesa delle donne: invece di inserire nei programmi scolastici ore di educazioni sessuale e di educazioni civica e morale, dobbiamo stare attenti a non urtare i teorici del fantomatico “gender” (che avevamo spiegato qui)

I genitori di questi aguzzini non si sono cosparsi il capo di cenere e non hanno chiesto scusa per il loro fallimento, anzi, hanno rincarato la dose, giustificando la legge del “maschio dominante” che, ai giorni nostri non funziona manco nella giungla, figurarsi in una qualsiasi società umana. L’unica legge che manca in tutto questo è quella dell’umana solidarietà: senza siamo tutti più che bestie.

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