Sud Sudan, centinaia di civili massacrati dai ribelli: la denuncia dell’Onu

L’Onu denuncia l’uccisione di centinaia di persone in Sud Sudan durante le recenti battaglie per la presa di Bentiu, un’importante località petrolifera nel Nord del Paese. “I ribelli si sono recati in una serie di luoghi dove si erano rifugiati centinaia di civili, a Bentiu, e hanno ucciso centinaia di persone in base alla loro etnia“, ha fatto sapere Unmiss, la missione delle Nazioni Unite presente nel Paese, precisando che nella sola moschea principale “sono stati massacrati più di 200 civili, e oltre 400 sono rimasti feriti“. Gli attacchi sono stati organizzati dalle truppe dell’ex vicepresidente Riek Mashar, uno dei leader dei ribelli.

Attacchi di matrice etnica

Unmiss riferisce anche alcuni dettagli a proposito dei massacri. Gli attacchi si sono verificati “in una chiesa, in un ospedale e in un compound abbandonato del World Food Program“. Inoltre, un gruppo di uomini armati ha preso d’assalto, due giorni fa, un compound dell’Onu a Bor, e nell’attacco sono rimasti morti almeno 58 civili.

Bor si trova a circa 200 km a nord della capitale Juba, in Sud Sudan. Tra le vittime, ha detto il funzionario dell’Onu che si trova nel paese africano, Toby Lanzer, si contano quarantotto bambini, donne, uomini, mentre altri 10 morti sarebbero tra gli attentatori.

L’attacco alla base di Bor è stato compiuto da persone di etnia Nuer – che formano una confederazione di tribù, dediti alla pastorizia, più grandi dell’Africa orientale – gli stessi che a Machar, alla testa di un gruppo tra ribelli e disertatori, questa settimana ha preso il controllo della città di Bentiu.

Intanto, Salva Kiir Mayardit, il presidente del Sud Sudan di etnia Dinka, controlla la capitale e gode della lealtà della maggioranza dell’esercito, potendo contare anche sul sostegno delle forze armate delle vicina Uganda. Finora sono migliaia i morti e un milione le persone costrette ad abbandonare le proprie case, in una nazione che ha ottenuto l’indipendenza solo nel 2011.

Le accuse ai Caschi Blu

Il governo del Sud Sudan ha indiato i caschi blu dell’Unmiss – la missione militare dell’Onu in sud sudan – come i responsabili di aver provocato gli incidenti, sparando in aria e di aver dato rifugio ai sostenitori dei ribelli. Per il ministro dell’Informazione, Michael Makuei Lueth, i giovani si erano recati al campo solo per protestare contro gli sfollati che stavano celebrando l’avanzata dei ribelli. Preoccupazione è stata espressa dall’ambasciatore americano alle Nazioni Unite, Samantha Power, che ha esortato i Paesi, che si erano impegnati a inviare nuove forze alla Unmiss, ad affrettare il loro dispiegamento. Le basi Onu devono essere considerate “inviolabili”, ha aggiunto, promettendo l’aiuto di Washington e dei suoi alleati per determinare i responsabili di questo “terribile attacco”. Forti timori sono arrivati anche dal segretario generale Onu, Ban Ki-moon il quale, attraverso il suo portavoce, ha condannato l’attacco “inaccettabile e che costituisce un crimine di guerra”.

Atrocità continue

I ribelli hanno reso noto un comuniato, attraverso la radio locale, in cui spiegano che alcuni gruppi etnici non dovrebbero stare a Bentiu, e hanno chiesto agli uomini di violentare le donne di altre comunità. Atrocità sono state registrate da entrambe le parti, con massacri etnici, reclutamento di bambini soldato, stupri e omicidi negli ospedali. Il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite ha condannato gli attacchi sottolineando che possono costituire “crimini di guerra“.

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