Strage di ciclisti in Italia: i rischi e i pericoli per le due ruote nel nostro Paese

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La strage di ciclisti in Italia registra nuove vittime, ogni giorno. Volti e persone meno noti di Nicky Hayden, il pilota statunitense travolto da un’auto nei pressi di Misano Adriatico mentre era in sella alla bici, di Michele Scarponi, il ciclista morto dopo essere stato travolto mentre si allenava vicino casa a Filottrano (Ancona), o di Chris Froome, uscito illeso da un tamponamento con una macchina a Montecarlo durante un allenamento, ma sempre vittime dello stesso tremendo destino. Gli ultimi dati sulle morti dei ciclisti in Italia sono chiari: secondo l’Istat, solo nel 2015 ci sono stati 45 ciclisti coinvolti in incidenti ogni giorno, 252 i ciclisti morti, uno ogni 35 ore. I motivi? Diversi per ogni incidente, certo, ma spesso nati da una gestione della strada “autocentrica”, dove ciclisti e pedoni non contano quasi nulla soprattutto in Italia dove la cultura della bici, da sempre presente nella vita di tutti noi, non si è accompagnata a piste ciclabili e città a misura di ciclisti.

I numeri registrati dall’Istat raccontano di una vera strage di ciclisti che va in scena quotidianamente sulle strade italiane, da Nord a Sud. Se ci sono città che hanno eletto la bicicletta come mezzo di trasporto principe (una su tutte Bologna con l’iniziativa “Bella Mossa”), la maggior parte dei piccoli e grandi centri italiani non è dotata di piste ciclabili degne di questo nome.

Mentre la bicicletta tornava a essere sempre più utilizzata dagli italiani, complice un po’ la crisi un po’ la tradizione e la cultura del nostro Paese (come non citare almeno quel capolavoro immenso che è “Ladri di Biciclette” di Vittorio De Sica), le strade rimanevano assoluto appannaggio delle automobili.

Chi usa la bicicletta per professione, per diletto o come mezzo di trasporto cittadino sa che ogni volta il rischio è grande. Secondo i dati Istat-Aci 2015/2012 sono stati oltre mille gli incidenti mortali che hanno visto coinvolti i ciclisti, oltre 250 decessi l’anno e senza contare le migliaia di feriti (16mila solo nel 2012). I ciclisti che hanno perso la vita in questo lasso di tempo sono uomini e donne, di ogni età, travolti mentre pedalavano lungo le strade di città: anche il dato delle morti in diminuzione registrato dal rapporto Aci-Istat (366 morti del 2001 e 251 nel 2015 con un -8,1% sul 2014) non segna un cambio di rotta.

Così la politica è stata costretta a occuparsi della strage di ciclisti, anche sulla spinta di associazioni come Salvaciclisti o Fiab, la federazione italiana amici della sicurezza, che hanno chiesto interventi decisi a favore delle due ruote, non sempre riusciti, come fu il caso della tassa e della targa per le biciclette.

Tra gli ultimi provvedimenti c’è il disegno di legge n. 2658 detto anche “salvaciclisti” che prevede modifiche all’articolo 148 del Codice della Strada “in materia di tutela della sicurezza dei ciclisti”, introducendo l’obbligo di sorpasso ad almeno 1,5 metri di distanza laterale dal ciclista grazie all’aggiunta dell’articolo 3-bis che recita: “È vietato il sorpasso di un velocipede a una distanza laterale minima inferiore a un metro e mezzo” (qui il link al testo).

Approvata alla Camera e arrivata in Senato a gennaio 2017, dal febbraio 2017 è in attesa della calendarizzazione. Certo non basta una legge, occorrono politiche serie sulla mobilità urbana, a partire da piste ciclabili degne di questo nome, ma approvare una legge a tutela dei ciclisti sarebbe già un buon primo passo.

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