Share economy in Italia: perché è odiata dalla old economy

Nuove tecnologie che rispondono alle esigenze di oggi vs categorie professionali di lungo corso. Share Economy, alias l’economia condivisa, vs old economy, l’economia tradizionale: lo scontro è ormai aperto su più fronti. L’ultima polemica è quella che divide gli albergatori tradizionali e la Federalberghi contro Airbnb, servizio di affitto di camere a privati che sta spopolando anche in Italia. Il servizio online permette di affittare camere in tutto il mondo tra privati per un totale di 800mila alloggi in 190 paesi: basta iscriversi al sito e attendere le richieste che giungono sempre più numerose anche per il nostro Paese. Facile e semplice si dirà, ma non per le associazioni di categoria per cui si tratta di concorrenza sleale.

Per rendersi conto del successo di Airbnb basta dare un’occhiata ai numeri: 190 Paesi, 800mila alloggi tra cui si contano 17mila ville, 1.400 barche, 640 castelli e 300 case sugli alberi. L’Italia è la terza destinazione più cliccata dopo Francia e Stati Uniti e dal 2008 sono circa un milione i turisti che hanno trovato alloggio tramite il sito.

Numeri importanti e per di più in crescita che hanno fatto scattare l’allarme di Federalberghi per la concorrenza sleale del portale. Il perché è sempre nei numeri: per un’inserzione non si paga nulla se non il 3% per la transazione bancaria, mentre per i clienti viene calcolato il 10% per il sito. Questo ha portato molte persone con immobili sfitti o con grandi proprietà inutilizzate a monetizzare quello che era già nelle loro disponibilità, come ha sottolineato Confedilizia. In un momento delicato a livello economico, l’affitto tra privati è una rendita in più che può aiutare molte famiglie: l’importante è seguire le regole che già esistono.

È proprio questo il punto su cui fa leva l’associazione degli albergatori, reduci tra l’altro da una delle peggiori estati degli ultimi anni soprattutto per il tempo inclemente. Federalberghi chiede che tutti rispettino le stesse regole, che gli affitti siano regolari dal punto di vista fiscale. Lo ha fatto il direttore generale, Alessandro Nucara, dalle pagine del Corriere: “Quando si affittano stanze di ville o dimore storiche, la persona che fa le pulizie è assicurata? Gli impianti sono a norma di legge? Sono previste misure antincendio? Senza contare un’altra questione, molto seria: siamo sicuri che queste soluzioni non diventino un modo facile per riciclare denaro sporco da parte della malavita? E i proprietari degli appartamenti segnalano davvero alla polizia la presenza di ogni ospite?”.

La replica di Airbnb è arrivata a stretto giro. Il sito mette tutto online, chiarisce che per ogni affitto ci sono le tasse da pagare. “Non è nostro compito fare i controllori”, spiega Matteo Stifanelli, country manager del portale. “La nostra piattaforma è trasparente, tutto si svolge online . La Finanza potrebbe fare delle verifiche sui singoli inserzionisti, ma noi suggeriamo piuttosto allo Stato di redigere regole chiare e uguali per tutti”, conclude ricordando che in materia di turismo in Italia vigono leggi regionali, diverse quindi sul territorio.

La polemica ricorda molto da vicino quella scatenata dai tassisti contro Uber, l’app che permette di prenotare un’auto privata per spostarsi in città. Dallo sbarco dello scorso anno a Milano e Roma, i tassisti sono scesi sul piede di guerra, tra scioperi e manifestazioni, fino al tavolo aperto con il ministro dei Trasporti Maurizio Lupi. Anche qui si teme la concorrenza sleale: non ci sono licenze da pagare per chi lavora per Uber, mentre i tassisti pagano fior di soldi (a Milano una licenza costa circa 175mila euro). Quello che manca, anche in questo caso, è una legge che sia al passo con i tempi, visto che l’ultima in materia risale al 1992, quando di app e smartphone neanche si sentiva parlare.

Nonostante la prima vittoria dei tassisti in Italia e lo stop arrivato da una corte di Francoforte, la società non si ferma e sta espandendo i servizi non solo al trasporto delle persone ma anche delle cose, con il lancio di altre applicazioni, da UberPop a UberPool, per condividere il tragitto con più passeggeri fino a UberRush, servizio nato a New York con facchini in bicicletta pronti a consegnare i pacchi.

Lo scontro non si fermerà perché è la stessa crescita vertiginosa della tecnologia a mettere alla portata di tutti servizi e opportunità: il mondo è pieno di start-up che stanno cambiando il modo di consumare, viaggiare e comprare. Siamo sempre più interconnessi e non c’è nulla o quasi che non si possa fare con uno smartphone o un tablet. I numeri del commercio elettronico sono in crescita anche in Italia perché è il modo di vivere che è cambiato. Pensiamo ai servizi di car sharing che hanno preso piede anche in Italia: e se i gruppi ferroviari, da Trenitalia a Italo, si mettessero a gridare alla concorrenza sleale perché costano meno?

Posto che anche online ci sono delle regole e leggi da rispettare, è necessario che anche chi opera offline si metta al passo con i tempi. Il turismo ha trovato nuova linfa vitale dai portali di hotel, anche se non mancano polemiche, il web ha allargato i confini del commercio e ha dato più scelta nella mobilità. La share economy non è il futuro: è il presente.

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