Riforma dei musei Renzi: cos’è e cosa prevede?

La riforma dei musei voluta dal ministro Dario Franceschini scatena le proteste degli archeologi che scrivono una lettera aperta direttamente al ministero per mettere in guardia dalle pecche e dalle storture che si creerebbero con le modifiche. Il primo passaggio contestato riguarda la gestione dei musei archeologici statali che la riforma vuole rendere in parte indipendenti con dirigenti autonomi, come previsto per Roma, Napoli, Taranto e Reggio Calabria, in parte accorpandoli a nuovi poli museali. Il punto è che in questo modo, secondo gli archeologi, si avrebbe una “inevitabile perdita di contatto con le strutture territoriali deputate alla tutela del patrimonio: le Soprintendenze archeologiche”.

–>LEGGI LA LETTERA DEGLI ARCHEOLOGI AL MINISTRO FRANCESCHINI [PDF]

Il contatto con il territorio, scrivono gli studiosi, è fondamentale per tutta l’attività museale in genere, ancora di più se si parla di strutture legate all’archeologia “che vivono solo in interscambio continuo con le attività di ricerca e sono il polmone essenziale delle attività di tutela, oltre ad esserne – in qualche misura – lo specchio”.

Staccare i musei archeologici dalle Soprintendenze dà luogo, secondo gli studiosi del Mibact a “un non senso metodologico e scientifico“: si allontano due strutture che lavorano in simbiosi, cioè chi si occupa di trovare e studiare nuovi reperti e chi li conserva e li valorizza.

Inoltre, si creerebbero dei paradossi per cui si avrebbe “l’assurda situazione di musei la cui direzione e gestione verrebbe ad essere separata da quella delle aree archeologiche in cui sono inclusi e di cui fanno strutturalmente parte”.

La riforma mira a gestire in maniera più strategica i musei nazionali al fine di migliorarli, ma questo passaggio non deve portare a “banalizzare le competenze necessarie alla gestione di un museo”. Se le strutture museali devono avere una loro autonomia, rimane essenziale che a gestirle ci sarebbe persone di assoluta competenza per non sprecare un immenso patrimonio. Il passaggio della lettera è quanto di più chiaro e netto si possa immaginare.

Gli archeologi chiedono infatti al ministro in modo “assolutamente necessario e irrinunciabile che i futuri direttori dei Musei Archeologici Statali, autonomi e non, grandi e piccoli, siano scelti tra gli archeologi in servizio presso le Soprintendenze, tenendo conto del servizio finora svolto, delle competenze acquisite e dei risultati conseguiti”.

Largo al merito scientifico dunque da affiancare a “personale specializzato nella gestione della promozione e delle relazioni col pubblico, senza trascurare le potenzialità del personale interno, che pure esistono, che potrebbero essere ampiamente valorizzate e ‘sfruttate’, al di fuori di una rigida logica ‘veterosindacale’”.

Da qui la necessità di affidare la nuova Direzione Generale Archeologia a un “archeologo proveniente dai ranghi del Ministero” proprio perché l’intento della riforma è di darle una veste puramente tecnica.

Altro punto di disaccordo è la creazione di accorpare le Soprintendenze creando quello che gli archeologi definiscono “macro-organismi quasi elefantiaci” che rallenterebbero e renderebbero più difficile la tutela dei beni archeologici.

Il risultato della riforma sarebbe di trasformare gli archeologi in “ottusi burocrati, amministratori di una tutela fatta solo di carte e di divieti”, proprio quello che lo stesso Franceschini vuole evitare.

La richiesta è di sfruttare e valorizzare le competenze tecniche e scientifiche degli archeologi per rivitalizzare i musei, riorganizzarli in maniera coerente e attrattiva per il turismo e per la cultura in generale, aprendoli a studenti, ai cittadini e agli stranieri. Un passaggio delicato e fondamentale per tutelare e valorizzare un patrimonio archeologico immenso e unico al mondo.

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