Referendum CNEL: conviene abolirlo o tenerlo?

Cnel

Nel quesito del Referendum Costituzionale del 4 dicembre i cittadini sono chiamati a decidere anche della sopravvivenza del CNEL, il Consiglio Nazionale dell’Economia e del Lavoro. In caso di vittoria del Sì questo organo costituzionale, nato con l’obiettivo di esprimere pareri e promuovere iniziative legislative nel campo economico e sociale, viene soppresso.
COS’È IL CNEL E QUANTO CI COSTA

La riforma costituzionale Boschi-Renzi prevede infatti la cancellazione dell’articolo 99 della Costituzione, quello che lo istituì nel 1957. Lo smantellamento dell’ente è in atto da tempo (tra dimissioni di molti consiglieri e riduzione dei costi), ma affinché la soppressione sia definitiva serve l’intervento sulla carta e l’approvazione della riforma tramite referendum. Il governo vuole abolirlo sostanzialmente per risparmiarne i costi pubblici di un ente giudicato inutile.

Il Consiglio Nazionale dell’Economia e del Lavoro da sempre è accusato di essere il simbolo dello spreco di denaro pubblico, un carrozzone statale inefficace e inutile, rifugio di burocrati e sindacalisti sulla via della pensione e di politicanti scartati dal Parlamento. È giusto, quindi, sopprimerlo?

Dopo aver intervistato il vicepresidente Gian Paolo Gualaccini possiamo dire che questo organo, così com’è diventato nel tempo, non serve a niente: se una riforma che lo renda davvero efficiente è impensabile, tanto vale abolirlo. Gualaccini, autocritico e propositivo, ha ammesso che il CNEL ha tradito lo spirito con cui i padri costituenti lo avevano istituito. Spirito che possiamo sintetizzare con le parole del democristiano Amintore Fanfani: “Se l’attività economica nazionale deve essere orientata e controllata, senza che vada soggetta a salti bruschi, non bastano gli organi normali: Presidente della Repubblica, Governo, prima e seconda Camera. L’esperienza insegna che occorre qualche cosa di più efficiente che non sia un Parlamento”. Non per niente il CNEL una volta veniva definito la “terza camera”.

La realtà è che quasi sempre è rimasto nell’ombra, snobbato da tutti i governi che poche volte lo hanno preso seriamente in considerazione. Non solo per demerito del CNEL, si difendono da Villa Lubin: i politici avrebbero osteggiato il parlamentino perché era il luogo dove i sindacati avevano realmente potere. Sarà vero? Può anche darsi.

La sostanza non cambia: in concreto il CNEL è servito a poco. Questi i dati ufficiali: in oltre cinquant’anni di attività il parlamentino ha elaborato 970 documenti: 96 pareri; 350 testi di osservazioni e proposte; 14 disegni di legge; 270 rapporti e studi; 90 relazioni; 130 dossier che raccolgono gli atti di convegni ospitati nella prestigiosa sede romana; 20 protocolli e collaborazioni istituzionali. Solo poche proposte di legge sono state discusse in Parlamento, nessuna è stata mai approvata. Vero anche, come puntualizzano dal CNEL, che succede lo stesso anche con le leggi d’iniziativa popolare.

Lo Stato risparmierebbe davvero sui costi?
Diverso il discorso dei costi: il risparmio in caso di soppressione sarebbe minimo. Se un ente pubblico non funziona è giusto sopprimerlo, su questo non ci piove. Ma lo Stato risparmierebbe davvero? Non è automatico, anzi. Attualmente il CNEL costa circa 8,7 milioni l’anno, soldi pubblici utilizzati per coprire i costi del personale e della prestigiosa sede romana di Villa Lubin. Costi già ridotti. Una volta, quando i consiglieri erano 121 e non 64, costava più di 20 milioni. Inoltre con la Legge di Stabilità 2015 sono state cancellate le indennità per i consiglieri, permettendo una ulteriore riduzione.

Cosa succede se vince il Sì? Che i dipendenti non verranno licenziati ma trasferiti alla Corte dei Conti o presso altri enti pubblici: insomma, lo Stato continuerà a pagarne gli stipendi. Per quanto riguarda Villa Lubin, l’elegante struttura sorta a Villa Borghese e destinata al Consiglio Superiore della Magistratura, non sarà di certo demolita: sia il personale che la manutenzione resteranno a carico dello Stato. Insomma, giusto sopprimere l’attuale CNEL, ma la storia del risparmio sui costi pubblici sembra più uno specchietto per le allodole.

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