Poesie d’amore di William Shakespeare, le più belle e romantiche

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E’ considerato il drammaturgo più illustre della letteratura occidentale, autore di opere straordinarie e di magnifiche poesie d’amore. William Shakespeare, il ‘Bardo di Avon’, è lo scrittore inglese per eccellenza, autore di opere immortali come Otello, Amleto e Romeo e Giulietta e di oltre 150 sonetti, dedicati tutti al tema dell’amore. Furono proprio i sonetti, composti da Shakespeare tra la fine del Cinquecento e i primi del Seicento, a dare ‘credibilità’ al suo genio poetico, dato che chi scriveva opere teatrali era considerato a quei tempi un autore minore. Quando tra il 1592 e il 1594 l’Europa fu colpita dalla peste e i teatri furono costretti alla chiusura, il Bardo ebbe modo di dimostrare tutto il suo talento poetico, componendo versi memorabili raccolti sotto forma di sonetto. Il gruppo dei componimenti, il cui tema principale è ovviamente l’amore (descritto però senza troppo sentimentalismo) comprende una prima parte, dedicata ad un non ben identificato giovane uomo (il fair youth) di cui il poeta decanta le virtù, e una seconda, dedicata invece ad una donna misteriosa, una dark lady, alla cui sensualità il poeta non resiste. Per i suoi sonetti Shakespeare si ispira a Petrarca ma ne supera in qualche modo il modello: i suoi versi infatti cantano non già il concetto della donna angelo (massima espressione dell’amore in Petrarca) ma l’amore universale, da quello platonico a quello romantico, dall’amore fraterno a quello omosessuale. Il risultato sono 154 sonetti considerati ognuno un capolavoro a sé. Tra quelli più famosi ne abbiamo scelti alcuni (riportarli tutti e ovviamente impossibile): le poesie d’amore più belle di William Shakespeare.

Poesie d’amore di William Shakespeare

La prima, tra le poesie d’amore di Shakespeare che abbiamo scelto (e che possiamo tranquillamente inserire tra le poesie d’amore più belle da dedicare, da Alda Merini a Pablo Neruda) è anche quella più famosa: si tratta del sonetto 18, conosciuto anche col titolo (che è poi il primo verso) Shall I compare thee, ritenuto da molti come la poesia d’amore più grande mai scritta.

Posso paragonarti a un giorno d’estate?
Tu sei più amabile e più tranquillo.
Venti forti scuotono i teneri germogli di Maggio,
E il corso dell’estate ha fin troppo presto una fine.
Talvolta troppo caldo splende l’occhio del cielo,
E spesso la sua pelle dorata s’oscura;
Ed ogni cosa bella la bellezza talora declina,
spogliata per caso o per il mutevole corso della natura.
Ma la tua eterna estate non dovrà svanire,
Né perder la bellezza che possiedi,
Né dovrà la morte farsi vanto che tu vaghi nella sua ombra,
Quando in eterni versi al tempo tu crescerai:
Finché uomini respireranno o occhi potran vedere,
Queste parole vivranno, e daranno vita a te.

Non sia mai ch’io ponga impedimenti
all’unione di anime fedeli; Amore non è amore
se muta quando scopre un mutamento
o tende a svanire quando l’altro s’allontana.
Oh no! Amore è un faro sempre fisso
che sovrasta la tempesta e non vacilla mai;
è la stella-guida di ogni sperduta barca,
il cui valore è sconosciuto, benché nota la distanza.
Amore non è soggetto al Tempo, pur se rosee labbra e gote
dovran cadere sotto la sua curva lama;
Amore non muta in poche ore o settimane,
ma impavido resiste al giorno estremo del giudizio:
se questo è errore e mi sarà provato,
io non ho mai scritto, e nessuno ha mai amato.

Quando, inviso alla fortuna e agli uomini,
in solitudine piango il mio reietto stato
ed ossessiono il sordo cielo con futili lamenti
e valuto me stesso e maledico il mio destino:
volendo esser simile a chi è più ricco di speranze,
simile a lui nel tratto, come lui con molti amici
e bramo l’arte di questo e l’abilità di quello,
per nulla soddisfatto di quanto mi è più caro:
se quasi detestandomi in queste congetture
mi accade di pensarti, ecco che il mio spirito,
quale allodola che s’alzi al rompere del giorno
dalla cupa terra, eleva canti alle porte del cielo;
quel ricordo del tuo dolce amor tanto m’appaga
ch’io più non muto l’aver mio con alcun regno.

In me tu vedi quel periodo dell’anno
quando nessuna o poche foglie gialle ancor resistono
su quei rami che fremon contro il freddo,
nudi archi in rovina ove briosi cantarono gli uccelli.
In me tu vedi il crepuscolo di un giorno
che dopo il tramonto svanisce all’occidente
e a poco a poco viene inghiottito dalla notte buia,
ombra di quella vita che tutto confina in pace.
In me tu vedi lo svigorire di quel fuoco
che si estingue fra le ceneri della sua gioventù
come in un letto di morte su cui dovrà spirare,
consunto da ciò che fu il suo nutrimento.
Questo in me tu vedi, perciò il tuo amor si accresce
per farti meglio amare chi dovrai lasciar fra breve.

Fai pure del tuo peggio per sottrarti a me,
ma per tutta la vita mi apparterrai:
vita che non durerà più a lungo del tuo amore,
perché essa completamente da quell’amore dipende.
Non devo perciò temere il massimo dei mali,
dal momento che il minimo di essi mi può causare la fine;
esiste per me un più felice stato
di questo continuo dipendere dai tuoi umori!
Tu non puoi torturarmi con la tua incostanza,
ne va della mia vita col tuo disdegno.
Oh, quale titolo alla felicità posseggo:
pago di avere il tuo affetto, contento di dover morire!
C’è cosa tanto bella che non tema macchia?
Tu potresti ingannarmi e io non saperlo.

Come un pessimo attore in scena
colto da paura dimentica il suo ruolo,
oppur come una furia stracarica di rabbia
strema il proprio cuore per impeto eccessivo,
anch’io, sentendomi insicuro, non trovo le parole
per la giusta apoteosi del ritual d’amore,
e nel colmo del mio amor mi par mancare
schiacciato sotto il peso della sua potenza.
Sian dunque i versi miei, unica eloquenza
e muti messaggeri della voce del mio cuore,
a supplicare amore e attender ricompensa
ben più di quella lingua che più e piu’ parlò.
Ti prego, impara a leggere il silenzio del mio cuore
è intelletto sottil d’amore intendere con gli occhi.

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