Poesie d’amore di Giacomo Leopardi, le più belle e romantiche

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L’opera, magnifica, del grande poeta di Recanati comprende una serie di poesie d’amore in cui Giacomo Leopardi, spesso ricordato solo per il suo pessimismo cosmico, interpreta con straordinaria sensibilità il sentimento umano per eccellenza, l’amore. La poesia leopardiana, infatti, a volte ridotta a ‘poesia della tristezza’, è in realtà una riflessione profonda sul sentimento amoroso, che il poeta ‘scopre’ per la prima volta a 19 anni (quando s’invaghisce di sua cugina Gertrude) e che racconta in una bellissima lirica dal titolo Diario del primo amore. Molte delle opere di Leopardi, dunque (dalle frasi celebri alle poesie più famose), sono ‘intrise’ d’amore, sia quando descrive la donna ideale (come nella poesia Alla sua donna, dove idealizza la figura femminile), sia quando esprime il suo Pensiero dominante, la lirica composta dopo aver incontrato Fanny Targioni Tozzetti (di cui s’innamora non corrisposto) che agli occhi del poeta è la donna perfetta. Quest’ultima lirica, insieme a A se stesso ed Aspasia, fa parte dei cosiddetti Canti fiorentini che, per la tematica che affrontano, rappresentano le poesie d’amore più belle di Giacomo Leopardi.

Il ciclo dei canti fiorentini, dunque, formato dalle poesie d’amore che Leopardi compose tra il 1831 e il 1833, durante il suo soggiorno a Firenze, è noto anche come ciclo di Aspasia e descrive, sotto forma di poesia, un’esperienza biografica ben precisa: l’amore (vero) per Fanny/Aspasia, un amore però che non fu mai corrisposto. Tuttavia, benché traggano spunto da un amore realmente vissuto, i canti fiorentini di Leopardi non raccontano una storia d’amore vera e propria, dato che ciò che interessa il poeta è indagare il sentimento amoroso e ciò che psicologicamente ‘produce’ nell’uomo. Data l’impossibilità (per ovvi motivi) di riportarle per intero, ecco brevemente alcuni dei versi più belli delle poesie d’amore di Leopardi.

Le poesie d’amore di Giacomo Leopardi

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La prima, tra le poesie d’amore di Leopardi che vorremmo proporvi è Alla sua donna, una sorta di inno alla donna ideale, composto nel 1823, di cui riportiamo i versi iniziali. L’opera si può tranquillamente inserire tra le poesie d’amore più belle da dedicare, dai versi di Alda Merini a quelli di Neruda.

Cara beltà che amore
Lunge m’inspiri o nascondendo il viso,
Fuor se nel sonno il core
Ombra diva mi scuoti,
O ne’ campi ove splenda
Più vago il giorno e di natura il riso;
Forse tu l’innocente
Secol beasti che dall’oro ha nome,
Or leve intra la gente
Anima voli? o te la sorte avara
Ch’a noi t’asconde, agli avvenir prepara?
Viva mirarti omai
Nulla speme m’avanza;
S’allor non fosse, allor che ignudo e solo
Per novo calle a peregrina stanza
Verrà lo spirto mio.

Cara bellezza che mi infondi amore da lontano, o nascondendo il viso, tranne quando, come ombra divina mi colpisci il cuore in sogno, o in campagna quando il sorriso della natura e il giorno brilla più bello; tu forse hai reso lieto il periodo innocente dell’età dell’oro, e ora, come soffio leggero, voli tra la gente? oppure la sorte avara che ti nasconde a noi ti prepara per quelli che verranno? Ormai non mi resta nessuna speranza di rivederti viva e reale; se non fosse quando, quando il mio spirito verrà privo del corpo e solo per una via nuova in una dimora sconosciuta.

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Questo componimento, di cui riportiamo l’incipit e la fine, è del 1831 ed apre il cosiddetto ciclo di Aspasia:

Dolcissimo, possente
Dominator di mia profonda mente;
Terribile, ma caro
Dono del ciel; consorte
Ai lúgubri miei giorni,
Pensier che innanzi a me sì spesso torni. (Incipit)
Pensiero dolcissimo, possente, dominatore della mia mente; terribile, ma dolce dono del cielo; compagno dei miei tristi giorni, pensiero, che torni così spesso nella mia mente.
Da che ti vidi pria,
Di qual mia seria cura ultimo obbietto
Non fosti tu? quanto del giorno è scorso,
Ch’io di te non pensassi? ai sogni miei
La tua sovrana imago
Quante volte mancò? Bella qual sogno,
Angelica sembianza,
Nella terrena stanza,
Nell’alte vie dell’universo intero,
Che chiedo io mai, che spero
Altro che gli occhi tuoi veder più vago?
Altro più dolce aver che il tuo pensiero? (Fine)
Da quando ti vidi per la prima volta, tu non sei diventata l’unico scopo dei miei seri interessi? Quanto tempo del giorno è trascorso, che io non pensai a te? Quante volte la tua sovrana immagine venne meno ai miei sogni? Angelica immagine, bella come un sogno, sia sulla terra, sia nelle alte vie dell’universo, che spero altro più bello che vedere i tuoi occhi? Che spero altro più dolce che avere il tuo pensiero?

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Infine, tra le poesie d’amore più belle di Giacomo Leopardi, vale la pena riportare anche questo magnifico componimento in cui il poeta dà il suo personale addio a ciò che definisce inganno estremo, ultima illusione: l’amore.

Or poserai per sempre,
Stanco mio cor. Perì l’inganno estremo,
Ch’eterno io mi credei. Perì. Ben sento,
In noi di cari inganni,
Non che la speme, il desiderio è spento.
Posa per sempre. Assai
Palpitasti. Non val cosa nessuna
I moti tuoi, nè di sospiri è degna
La terra. Amaro e noia
La vita, altro mai nulla; e fango è il mondo.
T’acqueta omai. Dispera
L’ultima volta. Al gener nostro il fato
Non donò che il morire. Omai disprezza
Te, la natura, il brutto
Poter che, ascoso, a comun danno impera,
E l’infinita vanità del tutto.
Ora ti riposerai per sempre, o mio stanco cuore. È sfumata l’illusione più grande, che io immaginai essere eterna. È morta. Sento lucidamente che in me e nel mio intimo è spenta non solo la speranza, ma anche il desiderio. Riposa in eterno. Ha battuto assai. I tuoi palpiti non valgono nulla, né le relazioni umane meritano illusioni. La vita è amarezza e noia, e null’altro mai; e il mondo è fango. Posa le tue inquietudini. Disperati per l’ultima volta. Al genere umano il destino non ha fatto altri doni che la morte. Ormai la natura ti disprezza, la malvagia forza che, nascosta, governa il mondo per il danno comune, e comanda sull’inutilità del creato.

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