Meloni e la deformazione del linguaggio a destra

Il discorso alla Camera e il linguaggio che spiega la fenomenologia del pensiero politico di Giorgia Meloni. È un conservatorismo di matrice vecchia e nuova, allo stesso tempo.

 Giorgia Meloni
Giorgia Meloni – Nanopress.it

Il premier Giorgia Meloni questo Giano Bifronte che guarda al futuro e al passato. Anzi più ancora al passato, da quando alla Camera il presidente del Consiglio ha, infine, rinnegato un “fascismo” di cui non “ha mai avuto simpatie”. Le risponde Giuseppe Provenzano, esponente del Pd, che spiega come Meloni parli anche delle sue antipatie per gli antifascisti, o almeno per quelli con la “chiave inglese”. Antifascisti sui quali, tuttavia, si basa mezza impalcatura della nostra povera Repubblica. Dire infatti non mi piace il fascismo insieme a non mi piacciono gli antifascisti, non rafforza quel Sì rinuncio a satana atteso da tutti, comunità internazionale inclusa, e professato con romana irriducibile inflessione nell’Aula bassa di Montecitorio. 

Vocabolario Meloni

Nel discorso alla Camera c’è una Giorgia Meloni che mette da parte le “manifestazioni” e i missini con cui di sovente si accompagnava lesta lesta. E ciao, ciao dissenso perché adesso ci sono le istituzioni a imporre il rigore e due paia di scarpe al giorno, almeno. 

Il premier durante il suo discorso rivolge “un affettuoso saluto al Papa”. Pontefice che viene utile per buttare giù il “reddito di cittadinanza”, perché il Papa dice che la povertà non si combatte con l’assistenzialismo. E lei aggiunge che l’assistenzialismo non esiste neanche con la cartina gialla, almeno fintanto che non ti tremano le mani per appoggiarla sul Pos. Pace e guerra, diceva Tolstoj. 

Il passato a cui cerca di appellarsi Meloni, poi, è forse quello di una Belle Époque. Un tempo rocambolesco in cui si lodavano le nazioni e non la globalizzazione. E “nazione” è uno dei termini che torna utilizzato più volte nel suo discorso alla Camera.

Azione fa rima con nazione e il nazionalismo europeo professato da Hannah Arendt ci casca a fagiolo. Per Meloni c’è una Europa ed è quella delle nazioni, però in tutto questo patriottismo il premier riesce anche ad aggiungere l’atlantismo, spassionato e mai soggetto a revisione.

Oppure, andando indietro nel tempo dell’Unione, forse il Giano Meloni guarda a quel suicida di Drieu La Rochelle, nazionalista normanno che ne Il giovane europeo spiegava: “l’ideale assoluto è quello di mischiare i santi, gli eroi, l’uomo e dio” e diceva che l’onore dell’uomo è agire.

La prontezza del “fare” è tipicamente politica e Meloni non se la lascia sfuggire: Io sono sempre stata una persona libera, sarò sempre una persona libera e, per questo, intendo fare esattamente quello che devo. Grazie”, così Giorgia in aula ha lasciato spazio al silenzio e agli applausi. 

Un discorso alla Camera bellissimo e toccante

Nel suo discorso totalizzante, degno della Prima repubblica, la premier è riuscita a scrivere perfettamente tutto lo scibile della storia politica italiana, salvo poi recitarlo con le brutture di una retorica espressa nei toni zompanti del romanesco. Incluso uno “Sto a morì, finiamo alle tre” davanti al microfono dell’Aula, ma sussurrato all’orecchio di Matteo Salvini. 

Un altro regista del linguaggio meloniano è Roger Scruton: vate del pensiero conservatore europeo, del quale scomoda una citazione: «l’ecologia è l’esempio più vivo dell’alleanza tra chi c’è, chi c’è stato e chi verrà dopo di noi».

Liz Truss
Liz Truss – Nanopress.it

Lo cerca il conservatorismo sociale Giorgia Meloni, forse quello di Lizz Truss anche lei madre di una figlia adorata di nome “Liberty”. Liberty pronunciato così traduce un valore sacro che, scrivono su Le Grand Continent, parla di conservatorismo sociale e destra politica utilizzati insieme per promuovere la deregolamentazione economica. Perciò Meloni annuncia la flat tax, anzi la tassa piatta – termine più patriottico – fino a 100mila euro. E ci sono 15mila euro in più di quanto richiesto da Matteo Salvini, artefice dell’ingiustizia fiscale con tanta nonchalance. 

Insomma Giorgia Meloni sembra una super donna che vorrebbe farsi chiamare super uomo, perché lei dice che no: “Capotrena” non va bene, allora meglio “il premier” e non “la premier”. Ai redattori del Tg1 si rizzano i capelli e avvertono che i termini inclusivi, già pubblicati sulla Treccani, vanno utilizzati in barba alle disposizioni del Pdc. 

Meloni e poi chiamarsi underdog, come le è piaciuto definirsi durante il discorso alla Camera, scomodando il termine anglosassone. Perché al contrario di Rishi Sunak che la ricchezza ce l’ha nel nome e di fatto, dicevamo, la Meloni nasce nel substrato della Garbatella, senza le scuole alte, e arriva seppur svantaggiata dove è arrivata da sola. 

In tema di anglosassoni ci va anche tutto il positivismo della retorica di Giorgia Meloni e il pensiero di John Stuart Mill. Anche lui parla di “libertà”, una libertà che garantisce all’individuo di opporsi al controllo sociale e al potere infinito dello stato. E qui ci entrano bene i No-vax, frangia di dissidenti che imbratta panchine e muri credendo che nella vita si muore solo di vaccini e non di povertà. Ecco, per i credenti delle teorie del complotto Giorgia Meloni ha una ricetta: la commissione d’inchiesta sulla pandemia di Covid.   

Nel futuro del neo premier ci sarebbe in somma un conservatorismo sociale, nuovo e promettente, che trasale il modello razzista trumpiano e, per fortuna, anche quello esotico di Salvini e quello brianzolo di Berlusconi, ma l’allarme, dicono gli scettici, è nero lo stesso.  

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