Malasanità e risarcimento danni: non chiamiamolo ”business”

Quei medici stretti tra i tagli e i giudici” e ancora: “Il business delle cause agli ospedali che spaventa anche le assicurazioni“, è il titolo in prima pagina del pezzo a firma di Gian Antonio Stella apparso sul Corriere della Sera lo scorso 24 settembre. E’ evidente che le parole pronunciate solo pochi giorni fa dal Ministro Lorenzin, che ha parlato di abusi di azioni intentate per presunti casi di malasanità in Italia e di avvocati appostati nei corridoi degli ospedali per accaparrarsi clienti anche trascorsi dieci anni dal fatto, sta continuando a sortire effetti mediatici importanti: il tema è e resta caldo e il dibattito che ne è scaturito, ora anche sulle prime pagine dei principali quotidiani, ne è la dimostrazione.

Premetto che a mio avviso la riforma sulla responsabilità professionale medica e della struttura ospedaliera, oggetto dell’articolo in questione, andava studiata e approfondita coinvolgendo anche uno o più studi legali altamente rappresentativi del settore e che si occupano in via esclusiva di casi di malasanità. Il loro contributo alla riforma, data la loro vasta esperienza nel campo, sarebbe stato importantissimo e sarebbe potuto andare, a mio avviso, in due direzioni ben precise, ovvero quella dell’accelerazione rispetto agli attuali tempi della giustizia e quello della ridefinizione della responsabilità penale dei medici nella direzione di un suo alleggerimento. Non escludo che un tale coinvolgimento tecnico, avrebbe forse potuto contribuire ad attenuare le numerose polemiche che sono scaturite all’indomani dell’annunciata riforma in materia da parte del Ministro.

Desidero pertanto, commentando il pezzo in questione, precisare che è mia opinione professionale e personale che non sussista oggi alcun abuso, e quindi nessun ”business” delle cause agli ospedali in Italia (non solo dotato di un sistema sanitario eccelso, ma anche perfettamente in linea con i paesi del Mediterraneo per quanto attiene a numero di denunce e, anzi, superata dalla rigorosa Germania) per lo meno non in ambito civile, bensì ritengo ne esista uno, e ben più serio, ma in ambito penale. Diversamente da quanto emergerebbe dal documento del Collegio Italiano dei Chirurghi, citato nel pezzo da Stella, secondo il quale “le migliaia di azioni civili e penali che vengono intentate contro i medici si concludono con il 98% di proscioglimenti in sede penale e l’80% delle assoluzioni in sede civile”, per la mia esperienza sul campo, posso invece affermare che la maggior parte delle azioni civili si concludono con un risarcimento del danno a favore del paziente e questo proprio perché, a differenza di quanto sostenuto dal Ministro Lorenzin, il lavoro degli avvocati specializzati nel campo della responsabilità medica è orientato ad operare una rigorosa selezione dei procedimenti per malpractice, attraverso il filtro della preventiva valutazione del caso da parte di medici specializzati. A mero titolo esemplificativo, il mio studio riceve in media 15 nuove richieste di assistenza al giorno, ma la percentuale di pratiche effettivamente prese in carico, a seguito del parere reso dai medici della cui consulenza mi avvalgo, è inferiore al 10%.

Pertanto, definire “un business quello delle richieste di risarcimento” è a mio parere argomentazione non solo fuorviante, ma soprattutto non aderente alla realtà dei fatti, non per lo meno alla realtà di quegli studi qualificati e specializzati in casi di malasanità, che, come detto, si avvalgono di un filtro assolutamente rigoroso come quello della preventiva valutazione del caso da parte di medici specializzati. A ciò si aggiunga che, essendo ormai molto diffuso tra gli studi legali specializzati, il sistema del “pay per result”, ossia del pagamento delle competenze legali solo in caso di esito positivo della vertenza, gli avvocati non trarrebbero alcun giovamento dal convincere i propri clienti a promuovere giudizi infondati ab origine. Pertanto, anche quello delle cause fittizie è a mio avviso un falso problema e nessun professionista serio correrebbe il rischio di intraprendere azioni temerarie, con conseguenze negative sia per il cittadino, che non vedrebbe riconosciuti i propri diritti se non suffragati da una meticolosa perizia medica preventiva, sia per il sistema giudiziario, che subirebbe un inutile carico oltre quello già esistente.

Un problema sussiste e resta quello delle tante denunce penali e i tanti esposti che vengono presentati e che nella stragrande maggioranza dei casi, e qui concordo con i dati forniti dal documento sopra citato, si conclude in una nulla di fatto perché archiviati dal PM a cui è affidato condurre le indagini e disporre eventualmente il rinvio a giudizio dell’indagato. Lo studio Sgromo è solito raccomandare, proprio per questo, estrema cautela rispetto all’ipotesi di intentare un’azione penale nei confronti del professionista ed è invece solito rivalersi, come anche la maggior parte degli studi specializzati, con un’azione civile sulla struttura ospedaliera. In merito al nodo tra chi deve dimostrare l’errore tra paziente e medico…

A onor del vero, non ritengo che le proposte formulate dal Ministro Lorenzin in materia di revisione della responsabilità professionale medica, rappresentino una “rivoluzione” nel settore preso in esame, come invece sembrerebbe essere stato indotto a credere anche l’autorevole autore di questo articolo, insieme a molti altri mezzi di informazione. Un esempio su tutti è rappresentato proprio dalla proposta di inversione dell’onere della prova dell’errore a carico del paziente. Già oggi, come detto, molti studi legali specializzati in casi di malasanità, tra cui lo studio Sgromo, prima di avviare un giudizio per responsabilità medica, predispongono una perizia medico legale il cui obiettivo è proprio quello di individuare l’esistenza di un nesso eziologico tra l’operato del medico e il danno subito dal paziente. Prima di decidere se procedere o meno con la richiesta di risarcimento, e per dimostrare il nesso di causalità tra il comportamento del medico e il danno subito, occorre raccogliere tutta la documentazione possibile per dimostrare la fondatezza del danno: cartelle cliniche, referti medici e ospedalieri, certificazioni, prescrizioni di eventuali cure o esami. Pertanto, a ben vedere, ed entrando nel merito delle modalità con le quali gli studi legali specializzati nel settore già oggi operano, l’onere della prova, è di fatto, già oggi, invertita ed è a carico del paziente.

Aspetto a mio dire contraddittorio e meritevole di grande attenzione è invece rappresentato da un altro aspetto trattato dall’articolo di Stella, ovvero quella della dichiarata paura da parte delle compagnie assicurative di coprire i rischi delle strutture ospedaliere in Italia… Ora, se è vero che tra le migliaia di azioni civili intentate in Italia, l’80% dei casi si conclude in assoluzioni (l’ambito di interesse delle compagnie di assicurazione è solo ed esclusivamente quello civile, quello che prevede, cioè,un risarcimento economico e non anche quello penale), qualcuno mi spieghi come possa il solo 20% delle cause concluse con un risarcimento spaventare i colossi del settore assicurativo costringendoli addirittura alla fuga! Non sarà mica, invece, che le compagnie assicurative si rifiutano di assicurare le strutture ospedaliere perché il numero delle azioni perse in sede civile e quindi l’entità complessiva dei risarcimenti, è ben più importante di quanto non si voglia far apparire? Delle due l’una…o i dati non sono del tutto veritieri…o le compagnie assicurative, per come stanno le cose oggi, farebbero meglio a convertirsi ad altri mercati….

Avvocato Bruno Sgromo, specializzato in casi di malasanità

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