Luigi Ciampoli, Procuratore Generale di Roma, dice addio alla Magistratura – INTERVISTA

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«Sicuramente ho avuto la soddisfazione e la possibilità di rispondere continuamente alla mia coscienza. Non posso dire se sono riuscito a realizzare tutto quello che speravo perché questo è un giudizio che potrei dare solo se dipendesse soltanto da me: molte volte, invece, mi sono dovuto scontrare o ho dovuto accettare gli eventi». Così Luigi Ciampoli, Procuratore Generale di Roma, fa un bilancio della sue carriera nel giorno in cui lascia la Magistratura.

Nei suoi 49 anni di carriera ha quasi sempre rivestito il ruolo di Pubblico Ministero, «ma – chiarisce in una lunga videointervista rilasciata a NanoPress.it – ho sempre interpretato la mia funzione come un mandato di collaborazione con gli organi giudicanti al raggiungimento e alla realizzazione della legalità».

«Il Pubblico Ministero infatti – continua Ciampoli – non deve essere l’accusa, ma l’avvocato della comunità. Così posso anche aver commesso degli errori umani, benché in questo momento non ne abbia ricordo né cognizione, ma non ho mai avuto il timore di non avere la coscienza apposto. Per questo sono favorevole all’individuazione di una responsabilità per i magistrati, ma non come mero intervento punitivo».

I problemi della giustizia italiani, però, sono tanti. «Per risolvere i problemi della giustizia bisogna risolvere a monte un dilemma che è sempre ricorrente: garantismo e giustizia. In nome di un garantismo esagerato ed esasperato, non si può garantire la celerità del processo né la risposta alla richiesta di giustizia che parte dalla popolazione».

Ma Luigi Ciampoli è sicuro nell’avvertire che «la riforma della giustizia deve presupporre la conoscenza della Magistratura e per questo deve partire dall’interno, con la quotidianità dei problemi che ogni magistrato affronta e delle difficoltà di applicazione delle leggi».

«Purtroppo oggi infatti, la legge sta seguendo la decadenza dei tempi: addirittura si assiste a strafalcioni grammaticali e a un linguaggio estremamente povero che crea confusione e occasioni di interpretazioni discordanti, tutte pienamente legittime, della stessa norma».

«La polemica sulle ferie dei magistrati, ad esempio, dimostra la scarsa conoscenza dell’ordinamento interno alla Magistratura. I famosi 45 giorni di ferie dei magistrati sono , infatti, così suddivisi: i primi 15 dovrebbero essere utilizzati per smaltire il lavoro arretrato e gli ultimi 15 dovrebbero servire per prepararsi all’impatto immediato che si ha al ritorno dalle ferie. Il legislatore, allora, dovrebbe dare la possibilità ai capi dell’ufficio di richiedere l’applicazione di questa tripartizione delle ferie».

E alla domande se la carenza di personale all’interno della Magistratura realmente incida sul funzionamento della giustizia, il Procuratore Ciampoli risponde: «Rende molto di più un magistrato con cinque collaboratori che non cinque magistrati con un solo collaboratore, perché il lavoro dei magistrati finisce per andare poi nel collo d’imbuto ch eè un singolo lavoratore».

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