La scatola nera nell’auto per l’assicurazione: spunta l’emendamento

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Ancora la questione della scatola nera per l’assicurazione Rc auto. Le prime voci sulla volontà di una parte del mondo politico, in linea con quella delle compagnie assicurative, di voler renderne obbligatoria l’installazione su tutti i veicoli erano circolate lo scorso marzo. Ora le voci si sono trasformate in qualcosa di più concreto, per quanto ancora molto provvisorio. Infatti troviamo un emendamento depositato pochi giorni fa alla commissione Industria del Senato, dove si sta esaminando il cosiddetto ddl concorrenza, cioè la legge annuale per il mercato e la concorrenza.

LA SCATOLA NERA: SERVE ALLE COMPAGNIE, MA AGLI AUTOMOBILISTI?
Ricordiamo cos’è la scatola nera per le auto. E’ un apparecchio elettronico molto simile a quello usato sugli aerei. Registra una serie di dati sul funzionamento del veicolo. In questo modo, in caso d’incidente, è possibile accertare quali manovre abbia compiuto il conducente in quell’occasione. Ciò renderebbe più facile l’attribuzione delle responsabilità, diminuendo la possibilità di truffe ai danni dell’assicurazione. Attualmente questa possibilità è facoltativa. Se il cliente accetta d’installare la scatola nera sul proprio veicolo, gli viene praticato uno sconto sulla polizza.

Tuttavia, farlo diventare un obbligo di legge comporterebbe una serie di problemi delicati. Chi paga i costi? Chi stabilisce come vengono dati gli sconti e in quale misura? Come vengono raccolti i dati? Che possibilità ha il cliente di controllare l’uso che ne viene fatto? Ad esempio, la scatola nera contiene un sistema Gps. Quindi le compagnie sanno sempre esattamente dove siamo andati in ogni momento. Nemmeno i detenuti in libertà vigilata sono così controllati.

E poi perché un soggetto privato come la compagnia assicurativa dovrebbe avere il potere di stabilire come il suo cliente debba guidare il proprio veicolo? Solo le autorità pubbliche, amministrate da soggetti che (teoricamente) sono sottoposti al controllo del popolo, devono avere questo potere, delimitato dalle leggi. Non è così semplice, quindi. Non è detto che l’interesse delle compagnie assicurative coincida con quello della popolazione in generale.

UN EMENDAMENTO SILENZIOSO MA PESANTE
Il disegno di legge sulla concorrenza è stato approvato dalla Camera dei deputati il 7 ottobre 2015. Durante il lungo esame alla commissione di Palazzo Madama (il testo sottoposto al Senato porta il codice 2085) sono stati finora approvati 115 emendamenti e circa un migliaio quelli respinti o ritirati. Quello che ci interessa in questo momento porta la firma dei senatori di maggioranza Salvatore Tomaselli (Pd) e Luigi Marino (Ap) e ha il codice 52.0.500; è stato depositato, cioè sottoposto all’esame, ma non ancora votato. Si trincera dietro una fumosa introduzione che parla di “smart city” e “mobilità sostenibile“, due slogan molto di moda nel marketing politico-affaristico ma che in realtà nascondono molte chiacchiere a sproposito e pochi fatti.

Tra un parolone e l’altro i due senatori della maggioranza cercano di piazzare la scatola nera, sebbene in modo talmente generico da lasciare lo spazio per qualsiasi tipo di giochetto ma senza assumersene eventuali responsabilità. Insomma, lanciano il sasso e nascondono la mano, come vedremo fra poco.
L’emendamento propone di delegare al Governo, entro il perentorio termine di 12 mesi (ma per esempio gli stessi senatori ne hanno impiegati già 8 per esaminare questa legge, e ancora non sono arrivati in aula), il compito di emanare una serie di decreti legislativi per l’installazione delle scatole nere sui mezzi di trasporto. Fantastica la motivazione: i decreti serviranno a “realizzare piattaforme tecnologiche per uno sviluppo urbano integrato multidisciplinare” (boh?).

In sintesi, i decreti dovranno rispettare le seguenti direttive: estendere a tutti i veicoli le scatole nere, cominciando dai mezzi che svolgono un servizio pubblico, per poi arrivare anche a quelli privati, però “senza maggiori oneri per i cittadini“; definire quali dati devono essere raccolti e in che modo devono essere trasmessi e gestiti, facendo attenzione anche al “coinvolgimento del cittadino attraverso l’introduzione di forme di dibattito pubblico“: come per esempio infilare zitti zitti un emendamento dal nome oscuro nell’ultimo articolo di una legge estremamente lunga e complessa.

Bontà loro, i relatori intimano al Governo di “individuare le modalità per garantire una efficace ed effettiva tutela della privacy, mantenendo in capo ai cittadini la scelta di comunicare i dati sensibili per i servizi opzionali“. Nella realtà dei fatti, più la nostra privacy viene protetta dalle leggi, più viene violata. In questo caso, sarebbe sufficiente classificare tra i servizi obbligatori tutti i dati appetibili per le compagnie e molto delicati per l’utente; così il mandato parlamentare verrebbe rispettato ma noi rimarremmo senza difese.

E SE IL GOVERNO “TOPPASSE”?
Soffermiamoci un attimo sulla questione della delega al Governo. Consentendogli di usare la formula del decreto legislativo, il Parlamento autorizza l’Esecutivo a scrivere uno o più decreti mettendoci quello che gli pare, purché si attenga ai criteri stabiliti da tale legge. Abbiamo visto quanto generici siano tali criteri. Successivamente il presidente della Repubblica firma e il decreto diventa legge senza passare più dal Parlamento (per questo si chiama legislativo); un esempio concreto di decreto legislativo è proprio il Codice della strada.

Va detto che generalmente i governi sottopongono i decreti legislativi alle commissioni parlamentari prima di vararli; si tratta però solo di un parere, non di un ordine. Se il Governo uscisse dal seminato, andando contro quei criteri, solo la Corte costituzionale potrebbe intervenire. Se qualcuno la interpellasse. Ma in un caso come questo l’unico a poterlo fare sarebbe un giudice durante un processo in cui venisse sollevato il dubbio eventuale d’incostituzionalità. Potrebbe anche non accadere mai.

Quindi partendo da criteri molto generici, il Governo avrebbe la possibilità di inventarsi mille procedure fantasiose, senza più filtro parlamentare. Il bello è che, in caso di norme che colpiscano i diritti del singolo cittadino (l’esperienza del passato insegna che le probabilità che accada sono altissime), i parlamentari che hanno “armato” il Governo possono scaricarne su quest’ultimo la responsabilità. Ecco perché dicevamo del tirare il sasso e nascondere la mano.

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