Italia: astensione primo partito con il 36 per cento dei voti

In Italia la bocciatura delle urne è stata accentuata soprattutto al sud e tra i giovani, la cui partecipazione non ha raggiunto il 50%.

Giorgia Meloni a un comizio di Fratelli d'Italia
Giorgia Meloni a un comizio di Fratelli d’Italia – Nanopress.it

Quelle di domenica sono state elezioni di vitale importanza, che potrebbero segnare la fine della Seconda Repubblica Italiana. Sono state anche elezioni con un livello di astensione mai visto prima, intorno al 36% dell’elettorato. Trascendenza e disinteresse, termini apparentemente contraddittori, si incrociano in un momento storico.

In Italia la sfiducia nei confronti dei partiti è sempre più alta

Ma questa non è una novità: è un processo iniziato decenni fa, caratterizzato dalla sfiducia dei cittadini e dalla preminenza della figura del leader, al di là dei partiti e persino delle ideologie. L’astensionismo è notevole soprattutto al sud (a Napoli ha votato poco più della metà dell’elettorato, anche se ha influenzato la tempesta che ha colpito la zona) e tra gli under 25, la cui partecipazione non raggiunge il 50%.

Sono, geograficamente l’una e demograficamente l’altra, le frange socialmente più deboli e più colpite dalla disoccupazione e dalla mancanza di prospettive; dovrebbero, in teoria, essere i più interessati a ottenere soluzioni dai politici. In pratica, dimostrano una profonda sfiducia.

L’Italia era un paese con un’altissima affluenza alle urne. La Costituzione afferma che votare è “un dovere civico” e una legge del 1953 stabiliva che chi si fosse astenuto ingiustificatamente avrebbe avuto la frase “non ha votato” per cinque anni sul certificato di buona condotta, all’epoca molto richiesto per trovare un impiego. Fino al 1979 la partecipazione superava sempre il 90%.

Poi ha cominciato a cadere e ha continuato a scendere, nonostante il leggero rimbalzo del 2008, con il quale Silvio Berlusconi è tornato al potere per la quarta volta e ha formato l’ultimo governo “politico” fino ad oggi: da allora il presidente del Consiglio è stato un tecnico o qualcuno nominato non dagli elettori, ma dai partiti.

La debacle della Prima Repubblica (1993), sprofondata negli scandali della corruzione, segnò la fine di un’era e l’inizio di un’altra: l’era berlusconiana, in cui l’imprenditore milanese, con Forza Italia, emerse come figura centrale sulla mappa politica.

La debacle della Prima Repubblica segnò l’inizio dell’era berlusconiana

“Berlusconi ha distrutto la vecchia cultura politica e infantilizzato un elettorato che gradualmente è diventato più individualista, più capriccioso e più irresponsabile”, afferma la giornalista e scrittrice Concita de Gregorio. Un’altra pietra miliare è stata la pubblicazione, nel 2007, del libro La casta, in cui due giornalisti, Gian Antonio Stella e Sergio Rizzo, hanno denunciato gli abusi, gli sprechi e il nepotismo che hanno caratterizzato sia la classe politica che le élite economiche e accademiche del Paese.

Silvio Berlusconi si prepara alle elezioni
Silvio Berlusconi-Nanopress.it

Il successo de ‘La casta’ è stato sorprendente: in pochi mesi le vendite hanno superato il milione di copie. Non a caso, poco dopo, nel 2009, è emerso il Movimento 5 Stelle, fondato da un umorista (Beppe Grillo) e autodefinito “antipartito, post-ideologico e né di destra né di sinistra”. Se Berlusconi aveva ravvivato il populismo che ha caratterizzato la dittatura di Benito Mussolini, Beppe Grillo lo ha portato in una nuova dimensione.

Gli italiani cominciarono ad abituarsi all’apparizione e alla scomparsa di forze politiche che salivano in modo improvviso e poco dopo si affievolivano. «I cittadini non si sentono rappresentati dai partiti e concentrano la loro attenzione sui dirigenti: li mettono alla prova uno dopo l’altro, il che spiega i tremendi alti e bassi elettorali», dice Fabrizio Tonello, docente di Scienze dell’opinione pubblica all’Università di Padova.

Il professor Tonello relativizza in una certa misura la scarsa partecipazione elettorale italiana e la mette in relazione con un fenomeno comune a molte democrazie europee, soprattutto nei paesi dell’est. “L’astensione tende ad aumentare ovunque”, dice. Chiarisce, però, che in Italia, oltre all’astensione “sociologica” (anziani o ammalati, per esempio), ne spiccano altre due: quella di chi rifiuta il sistema politico o sente che non lo riguarda, e quella di chi, vista la complessità del meccanismo elettorale, “che a volte li costringe a dare la preferenza a un candidato che non gli piace”, preferisce non votare.

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