Israele non teme le minacce di Hezbollah ma le autorità islamiche si incontrano in Egitto

Israele sta attraversando un momento delicatissimo, che lo vede teatro di accesissime proteste, a seguito dell’approvazione e della successiva entrata in vigore della legge sullo standard di ragionevolezza, approvata dal governo Netanyahu, che limita i poteri dell’alta Corte e compromette la democrazia israeliana secondo il popolo in rivolta e opposizione politica. Nel mentre arrivato anche a un chiaro avvertimento da parte della milizia stanziata in Libano Hezbollah ma il primo ministro non ritiene di doversi preoccupare.

Attacco di Israele a Jenin in PalestinaLa crisi che sta attraversando israele è profonda e spazia in diversi ambiti, dal sociale dove il malcontento della popolazione è esploso, ma anche a livello internazionale la situazione è estremamente delicata dato che le azioni intraprese dal governo Netanyahu hanno sollevato rabbia e minacce di ritorsione da parte delle autorità islamiche oltre che dalle milizie ribelli.

Netanyahu ha dichiarato di non temere più di tanto le minacce pervenute dal capo della milizia Hezbollah. Le frange islamiche stanziate in Palestina si sono incontrate in Egitto data l’escalation di violenza scaturita in Cisgiordania.

Netanyahu non è preoccupato delle minaccia di Hezbollah

Netanyahu ha adottato un approccio pragmatico nei confronti del Libano, ha difatti annunciato che Israele userà l’estate per cercare di raggiungere un accordo sulle dispute marittime e i confini. Netanyahu spera chequesta volta” la mano tesa di Israele non rimanga inattesa, mostrando la volontà di negoziare e allo stesso tempo frustrazione per difficoltà passate.

Netanyahu non sembra però impressionato dalle minacce di Nasrallah, definendole prive di peso. Ha avvertito il leader di Hezbollah che in caso di escalation Israele “si troverà in piedi insieme spalla a spalla” per difendersi, mostrando così la determinazione militare israeliana.

Il primo ministro sembra voglia esplorare quindi la via diplomatica ma anche mostrarsi determinato, per evitare di essere messo sotto pressione da Hezbollah. L’equilibrio tra negoziazione e deterrenza sarà cruciale per ridurre le tensioni al confine libanese e prevenire ulteriori escalation. Ma per trasformare le speranze diplomatiche in realtà, servirà uno sforzo costruttivo da entrambe le parti. Fino ad ora è sempre mancato.

Il conflitto tra Israele e Hezbollah rischia di riaccendersi in ogni momento. Accordi sulle dispute marittime potrebbero stabilizzare la situazione. Ma la strada da percorrere è ancora lunga e non è chiaro se le tensioni saranno in

A seguito della scelta del ministro della Sicurezza interna di Israele Ben Gvir tornare, per la terza volta dall’inizio del 2023, alla Spianata delle moschee. Il luogo sacro è importante sia per il culto ebraico Che che per quello musulmano. Hai fedeli israeliani  è consentito soltanto il transito e non il fermarsi in preghiera che invece è concesso ai fedeli musulmani. La comunità islamica ritiene queste provocazioni attuate dal ministro israeliano come non voler fomentare conflitti e guerriglia per poter attuare la propria rappresaglia.

Non va dimenticato che durante le ultime settimane il primo ministro Netanyahu e la coalizione al governo hanno ripetutamente attaccato obiettivi situati in Palestina, come per esempio i campi profughi di Nablus e Jenin provocando la distruzione di quasi la totalità di essi ed è di conseguenza per attuare la propria missione descritta come antiterrorismo, sono state distrutte anche però le vite di molte persone innocenti che hanno perso le poche cose che avevano.

La crisi interno sembra non scalfire le autorità di Israele che proseguono imperterrita nella riforma giudiziaria, che punta a privare l’Alta Corte della sua nota imparzialità e cede al sistema politico anche la nomina e il successivo controllo della nomina dei giudici.

Le proteste sono entrate nella trentesima settimana ma il governo israeliano non ha intenzione di frenare nella legislazione in atto e ciò sta allarmando l’intera comunità internazionale. Secondo l’opposizione politica guidata dall’ex premier Lapid il percorso intrapreso dall’attuale premier sta minando le relazioni internazionali israeliane costruite con anni di sacrifici, come per esempio quello con Washington.

Il governo israeliano intende sfruttarela pausa estiva” per raggiungere accordi con il Libano sulle divergenze marittime, secondo quanto dichiarato dal primo ministro Benjamin Netanyahu.

Parlando prima della riunione settimanale del gabinetto, Netanyahu ha auspicato chequesta volta la nostra mano tesa non rimanga in sospeso”, esprimendo la volontà di trovare intese ma anche la frustrazione per il passato.

È possibile raggiungere accordi, è necessario raggiungere accordi” ha detto il premier, aggiungendo cheuna grande maggioranza del pubblico comprende questa verità”.

Le parole di Netanyahu mostrano la determinazione di Israele a mettere da parte le tensioni e trovare un’intesa con il Libano su confini marittimi e risorse energetiche. Non sarebbe la prima volta che Tel Aviv dimostra pragmatismo nel ricercare la stabilità ai propri confini.

In questa partita la mediazione degli Stati Uniti potrebbe rivelarsi decisiva. Ma finora l’impegno diplomatico di Washington non è riuscito a convincere pienamente le parti.

Le parole di Netanyahu mostrano intenzione di accordo ma lasciano aperti molti interrogativi sui tempi e i modi per giungere veramente ad un’intesa storica tra Israele e Libano.

Una situazione estremamente delicata alla quale si aggiunge la lotta estrema di Israele con le milizie filo-iraniane sostenute da Teheran che dopo essere state provocate da numerose e ripetute azioni violente di Tel Aviv hanno minacciato ritorsioni contro chi non ha rispetto per il loro credo e infierisce su una popolazione anche quando è innocente.

Proprio per la crescente tensione nella zona della Striscia di Gaza e in Palestina, senza tralasciare però i disordini in Cisgiordania le milizie islamiche e i loro vertici hanno deciso di incontrarsi in Egitto per cercare un modo che vada a riequilibrare le relazioni altamente instabili attualmente.

Le milizie islamiche si sono incontrate in Egitto per la minaccia di Israele

Il tentativo di riconciliazione tra Hamas e Fatah si preannuncia difficile. Dopo tentativi alle spalle già falliti, le attese sono basse.  In un incontro in Egitto stanno discutendo modi per “ripristinare l’unità nazionale”, ma permangono profonde differenze su strategie e alleanze.

L’iniziativa arriva mentre cresce la violenza in Cisgiordania, mostrando come un fronte unito sarebbe utile.  Tuttavia le divisioni interne, le rivalità personali e la mancanza di fiducia rendono improbabile un accordo duraturo.

Anche l’Egitto sembra meno coinvolto nel processo di riconciliazione.  In passato il suo ruolo di mediatore è stato fondamentale e nonostante si sia impegnato anche negli ultimi mesi emerge uno stallo pericoloso.

In definitiva l’unità palestinese rimarrà un miraggio finché il conflitto con Israele non sarà risolto. Servono atti politici coraggiosi da entrambe le parti.

Il compito principale è fermare la spirale di violenza, cominciando da un cessate il fuoco duraturo in Cisgiordania. Solo allentando la tensione sul terreno sarà potrà creare lo spazio per negoziati politici credibili. Tutto il resto, compresa la riconciliazione interna palestinese, dipende da quella difficile, ma necessaria scelta.

 

Il tentativo di riconciliazione tra Hamas e Fatah arriva in un contesto difficile. La Cisgiordania sta vivendo i peggiori scontri da decenni dopo le incursioni israeliane che hanno mostrato violenza e ferocia nei confronti dei palestinesi.

Fatah accusa Israele di minare le sue stesse forze di sicurezza e indebolire la sua leadership. L’incontro in Egitto, promosso da  Abbas, mira a rafforzarlo in un momento in cui è impopolare a casa e ha poco potere a causa delle incursioni.

Ma Hamas e Fatah rimangono profondamente divisi. Sembra che il tentativo di riconciliazione rifletta più le debolezze di Abbas che reali prospettive di accordo.

Per creare le condizioni diplomatiche, è necessario prima di tutto, come sopra citato e come sostenuto da molto analisti, fermare la spirale di violenza con uno sforzo diplomatico serio con Israele.

Ora quindi il compito prioritario è portare avanti una soluzione diplomatica con Israele per raffreddare la situazione e ridurre le tensioni. La strada verso una vera pace è lunga ma occorre cominciare con passi pragmatici e realistici.

Milizie di Gaza
Gruppo armato di Gaza – Nanopress.it

La riconciliazione interna tra palestinesi può attendere. Prima di tutto va frenata la deriva verso un’escalation senza ritorno.

L’incontro in Egitto mostra le profonde divisioni tra le fazioni palestinesi. Hamas e Fatah, rivali dal 2007, mostrano scarsa volontà di risolvere le rispettive divergenze.

L’incontro è stata un’opportunità per Hamas mostrare gli sforzi di riconciliazione agli abitanti di Gaza, ma probabilmente  senza conseguenze concrete.

La Jihad islamica ha boicottato l’incontro, segno della sfiducia reciproca. L’Egitto ha agito da mediatore tra le fazioni e Israele, ma finora senza successo duraturo questo perché non sono semplici incontri gestionali non bastano, servono negoziati sinceri.

Ora la priorità è disinnescare la violenza in Cisgiordania, dove la situazione umanitaria sta rapidamente peggiorando.

Solo fermare l’escalation con Israele potrebbe creare lo spazio per negoziati interni seri tra palestinesi. Al momento sembra un obiettivo illusorio.

La riconciliazione interna richiede atti politici concreti, capacità di mediazione e pressioni internazionali e senza ciò tutto il percorso non porterà a cambiamenti concreti e reali. L’urgenza ora è una soluzione diplomatica con Israele per ridurre tensioni e violenze sul terreno. Il resto dipende da quel primo necessario passo.

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