Il Dottor Profeta scrive virtualmente alle sue vittime: ‘Guardo il tuo profilo Facebook prima di dire ai tuoi che sei morto’

Louis M. Profeta è un medico del pronto soccorso del St. Vincent Hospital di Indianapolis, Stati Uniti. Nonostante la sua professione gli imponga di essere estremamente razionale, ha voluto raccontare come si comporta quando deve comunicare a una famiglia la scomparsa di una persona cara. Lo ha fatto in un’emozionante lettera pubblicata sul suo profilo Linkedin. Prima di parlare coi parenti, ha svelato, controlla il profilo Facebook della persona scomparsa.

Il dottor Profeta ha immaginato di scrivere alle vittime di cui si occupa al pronto soccorso. Ha voluto confidare loro quei delicatissimi momenti che intercorrono tra la dichiarazione di morte e la comunicazione del tragico evento ai familiari.

‘Mi fa restare umano sai, sto per cambiare le loro vite, quelle di tua mamma e tuo papà. Fra circa cinque minuti non saranno più gli stessi, non saranno mai più felici’. Poi il medico di Indianapolis spiega le ragioni per cui si affida a Facebook. ‘Adesso, a essere onesti, sei solo un corpo senza nome che abbiamo intubato nel disperato tentativo di salvare. Non c’è movimento, vita, nulla che mi dica che avevi sogni o aspirazioni. Lo devo a loro, imparare un po’ di te prima di entrare. Perché adesso sono arrabbiato con te, per quello che hai fatto a te stesso e quello che stai per fare a loro. Io non so niente di te. Lo devo a tua madre, dare una sbirciata nel tuo mondo una volta vivo’.

‘Magari stavi messaggiando anziché guardare la strada. Forse eri ubriaco quando avresti dovuto chiamare un Uber. Magari hai sniffato eroina o una riga di cocaina per la prima volta. Non hai indossato il casco in bicicletta o non hai ascoltato i tuoi genitori quando ti dicevano di non uscire con quell’amico. Magari ti sei solo arreso. Magari era semplicemente il tuo momento, ma c’era la possibilità che non lo fosse’. Immagina il dottore.

Il dottor Profeta spiega i momenti in cui scopre di più sulle sue vittime. ‘Così ho preso la foto sbiadita della tua patente, ho cliccato sul mio iPhone e ho cercato su Facebook. Ci sono speranze che abbiamo un amico in comune da qualche parte. Conosco un sacco di gente. Vedo il tuo sorriso, come dovrebbe essere, il colore dei tuoi occhi quando erano pieni di vita, te sulla spiaggia, soffiando le candeline, Natale dalla nonna. Oh, hai anche un maltese. Lo vedo. Bene, adesso saprò esattamente chi sono quando entrerò nella stanza. Lo rende quel poco più semplice per me, ho una domanda in meno da fare’.

E poi conclude tornando al terribile presente. ‘Sei fortunato a non dovere vedere tutto ciò. Papà che urla il tuo nome ancora e ancora, mamma che si strappa i capelli, accasciata sul pavimento con le mani sulla testa, come se dovesse proteggersi da colpi invisibili. Io controllo la tua pagina Facebook prima di dire loro che sei morto perché mi ricorda che sto parlando di una persona, qualcuno che loro amavano. Calma la voce nella mia testa che adesso ti urla: Tu figlio di p***, come hai potuto fare questo a loro, alle persone avrebbero dovuto amarti’.

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