Ignazio Marino assolto in Cassazione per il caso scontrini

Alla fine la vendetta del Marziano è arrivata: la Cassazione ha assolto l’ex sindaco di Roma Ignazio Marino per la vicenda scontrini. “Il fatto non sussiste”, ha sentenziato la sesta sezione penale della Cassazione, in accoglimento del ricorso del diretto interessato. L’ex sindaco era stato assolto in primo grado e condannato a due anni in appello. Contro la sentenza, emessa l’11 gennaio 2018, Marino aveva presentato opposizione, vincendo oggi il ricorso in Cassazione.

Ignazio Marino era imputato per peculato e falso per aver pagato durante i 28 mesi del suo mandato tra il 2013 e il 2015 con la carta di credito del Campidoglio una cinquantina di cene di rappresentanza per un totale di circa 12 mila euro. Le motivazioni della sentenza saranno depositate entro 90 giorni.

Marino aveva sempre professato la sua innocenza, ma per amore di pace aveva annunciato con un videomessaggio ai romani la volontà di pagare di tasca propria la somma contestatagli. Questa fu la goccia che fece traboccare il vaso: da tempo Renzi, allora presidente del Consiglio, lo aveva messo sotto sfratto dopo mesi di frecciatine e avvertimenti più o meno velati. Era il giugno del 2015 e non si era ancora giunti allo scontro totale, ma dagli studi di Rai 1 Renzi aveva scagliava il suo anatema: “Se fossi Marino non starei tranquillo”. E infatti finì come sappiamo: Marino crocifisso dal suo stesso partito, il PD renziano, e sfiduciato da 26 consiglieri tramite una firma dal notaio.

Nel 2018, intervistato da Foglio, il deputato PD Luciano Nobili ha fatto mea culpa: “Col senno di poi credo che con Marino sbagliammo. Credo che da quel giorno, e nei mesi a seguire, si sia consumata una frattura con una parte della città”. La caduta di Marino, riferisce, fu “decisa durante una partita di biliardino con Renzi e Lotti” e “festeggiata con riso basmati e vino a casa di Lorenza Bonaccorsi”.

Matteo Orfini ha invece rivendicato con una nota del giugno 2018 la scelta di spegnere l’esperienza romana di Marino: “La scelta di porre termine all’esperienza Marino fu mia e aggiungo che rimpiangere il partito di allora, travolto dagli arresti e dagli scandali, è forse utile a qualche reduce, ma non mi pare granché costruttivo […] Furono scelte difficili, ma se oggi il Pd è guidato da un nuovo gruppo dirigente, che in due anni lo ha riportato ad essere primo partito in città quando avrebbe rischiato l’estinzione a causa di mafia capitale e del fallimento amministrativo di Marino, è la dimostrazione che quelle scelte difficili e dolorose furono indispensabili a salvare il Pd”.

Ma il diretto interessato come ha accolto la notizia dell’assoluzione?

Senza grandi clamori, come è nel suo stile, anzi quasi sottovoce Marino ha postato un messaggio su Facebook: “Pochi minuti prima di prendere la parola al World Trade Center Association 2019 Summit ho appreso dal Professor Musco e dall’Avvocato Martuscelli della decisione della Cassazione. È un sollievo ma non posso affermare di essere allegro. Penso infatti a tutte le persone, familiari, amici, compagni di sogni e progetti che hanno sofferto con me, e per me, in questi anni. Questa sera mi sento solo di dire grazie a tutti voi e agli straordinari professionisti che mi hanno assistito. Voglio a tutti un gran bene e vi sono davvero grato per il vostro affetto oltre che onorato della vostra stima”.

Nessuna acredine apparente, nessun senso di rivalsa, solo sentimenti positivi come gratitudine e affetto, velati dall’amarezza di aver sofferto ingiustamente per il tradimento dei compagni di partito e il dileggio di Virginia Raggi, allora all’opposizione al Comune, che si fece fotografare in aula Giulio Cesare con le arance da portare in galera.

Quando poi Virginia Raggi entrò nella stanza dei bottoni dallo sfottò social passò a qualcosa di ben più pesante: una richiesta di 37 milioni di euro ai danni di Marino per “danno erariale in via amministrativa per la maggiorazione dei costi sostenuti da Roma Capitale per il conferimento in discarica del rifiuto indifferenziato”. Marino, nel 2013, aveva chiuso la discarica di Malagrotta, nella quale venivano versati i rifiuti indifferenziati di Roma e per la quale l’Italia aveva subito l’apertura di una procedura di infrazione già dal 2007. Dopo la chiusura però la raccolta differenziata non era decollata.

Una cosa è certa: la reputazione di Marino sarà anche uscita linda dal processo, ma chi lo voleva estromettere dalla politica con accuse pretestuose ha vinto: in politica lanciare palle di fango conviene sempre.

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