Giuseppe Giacobazzi in tournée: vi racconto ‘Un po’ di me’

Fa il comico da talmente tanto tempo e ha ricevuto tanti di quegli apprezzamenti, che era davvero arrivato il momento di farlo: ringraziare il proprio pubblico, dimostrargli l’affetto e la gratitudine attraverso un atto di fiducia. Giuseppe Giacobazzi per la prima volta si mette completamente a nudo con uno spettacolo più intimo e personale degli altri, dove l’uomo Andrea Sasdelli emerge con una forza maggiore portandosi dietro non soltanto la risata – ovviamente – ma anche una vibrante emozione umana.

Un po’ di me è il titolo della tournée prodotta dalla Ridens che vede Giacobazzi in scena fino al 17 maggio: il grosso è già stato fatto, con una schiera di teatri pieni un po’ in tutta Italia; ora mancano Torino, Genova, Bergamo e Brescia, anche se ci sarà modo di incontrare il comico di Zelig durante l’estate, in vari appuntamenti all’aperto.

Scritto insieme a Carlo Negri, lo spettacolo intende aprire alcuni cassetti dei ricordi per donare all’affezionato pubblico momenti di vita quotidiana; attimi che tuttavia non appartengono soltanto ad Andrea, ma sono in un certo senso tasselli di un’epoca e di una generazione. Così, non è raro incontrare a fine spettacolo una fila impaziente di fan che al momento della foto e dell’autografo esclama: “Complimenti e grazie, perché tu rappresenti la nostra generazione”. Indipendentemente dall’età.

Dall’1 al 4 maggio Giacobazzi ha fatto tappa nella città che forse più lo ama di ogni altra: Bologna, al Teatro EuropAuditorium. Quattro serate murate in cui non c’era posto neppure per una sbirciatina in piedi: “Il teatro pieno fa bene all’anima, e anche al mutuo” scherza Giuseppe, ma ben presto passa a intrecciare in quel modo che solo lui riesce a fare l’ironia più pungente con l’emotività vera, la leggerezza con la profondità.

Si ride e tanto, ascoltando le divertenti gag che gli sono capitate da quando era ragazzino fino ad oggi, con la classica compagnia del bar alla Max Pezzali (quelli della notte e del Camogli, tanto per intenderci), il motorino truccato (male) e il sabato pomeriggio in discoteca impagliati come cervi dentro jeans troppo attillati e rigidissimi Camperos. Si apre anche il backstage attraverso alcuni simpatici aneddoti che lo hanno visto protagonista fuori dalle scene, durante le tournée e i viaggi in giro per l’Europa: il rapporto con i fan, le traversate notturne per rientrare a casa dopo uno spettacolo – non tutte fortunate – gli Autogrill e gli aeroporti.

Come sempre, Giacobazzi si dimostra un grandissimo osservatore prima ancora che un comico; ma in fondo chi fa della propria arte un mestiere non può prescindere, e lui meno che mai, dall’essere sempre in contatto con la realtà, quella semplice di tutti i giorni fatta di persone, caffè al bar, sorrisi e inevitabili gaffe.

Tuttavia, non sono soltanto gli incidenti quotidiani che forniscono a Giacobazzi lo spunto per far ridere e sorridere; ancora di più lo forniscono quelli che lui chiama i piccoli momenti di felicità quotidiana: fare qualcosa di speciale per una persona speciale, osservare gli occhi della tua donna quando esprimi un’idea particolarmente profonda, guardare la propria figlia dormire e poi le storie che terminano con il lieto fine. Tra queste, Andrea Sasdelli – perché qui parla l’uomo molto più che il personaggio – sceglie di regalare al pubblico quella della lunga avventura con la fecondazione assistita, sperimentata da poco e terminata con la gioia di una bambina che oggi ha 14 mesi.

È un immenso regalo di intimità ed emozioni private che Giacobazzi fa al proprio pubblico: lo fa prima di tutto per denunciare un sistema che in Italia non funziona – nel suo racconto le differenze con la Spagna sono evidenti – ma poi anche per trasmettere il concetto per cui generare un bambino non è né un dovere né una routine, quanto piuttosto il più grande atto d’amore di cui l’essere umano sia capace. Ed è per questo che Un po’ di me si chiude con una canzone, una di quelle che ha segnato una generazione intera, ha fatto sognare, amare e commuovere: Il cielo di Renato Zero.

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