Giuseppe Antoci: ‘Il protocollo di legalità mette in ginocchio la mafia dei pascoli in tutta Italia’ [INTERVISTA]

Giuseppe Antoci Sergio Mattarella

[didascalia fornitore=”ansa”]Giuseppe Antoci al Quirinale durante la cerimonia di consegna di onorificenze a cittadini che si sono distinti per atti di eroismo e impegno civile [/didascalia]

Giuseppe Antoci è il presidente del parco dei Nebrodi in Sicilia, nonché il nuovo responsabile del Dipartimento legalità del PD. Antoci ha stroncato le truffe sull’assegnazione degli affitti dei terreni e sull’erogazione dei fondi europei, la cosiddetta ‘mafia dei pascoli’, ideando un protocollo di legalità che prevede la presentazione di un certificato antimafia sottoposto a stringenti verifiche. Precedentemente bastava solo una semplice autocertificazione. Il suo impegno contro la mafia dei Nebrodi lo ha portato ad essere vittima di un attentato dal quale è uscito illeso grazie all’auto blindata e alla prontezza della sua scorta. Con l’approvazione del nuovo Codice Antimafia il protocollo Antoci, in toto recepito nella norma, diventerà legge dello Stato superando quindi i limiti della regione Sicilia per essere applicato in tutte le regioni d’Italia. Per le mafie si tratta di un danno economico e di immagine di proporzioni ingentissime. E’ probabile che i roghi che in questi drammatici giorni stanno devastando il Sud Italia siano una risposta delle cosche all’applicazione nazionale del protocollo Antoci. Ne abbiamo parlato con il diretto interessato.

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Ci sono stati diversi focolai partiti negli stessi giorni e negli stessi orari in decine di luoghi diversi della Sicilia. Alcuni roghi sono arrivati a lambire centri urbani e diverse abitazioni sono state sfollate. Il danno al patrimonio boschivo è ingentissimo.

L’ipotesi dell’autocombustione non la prendo nemmeno in considerazione e i soggetti psichiatrici comunemente definiti ‘piromani’ sono una minima parte del problema. Ammettiamo poi che qualche contadino sprovveduto, cercando di liberarsi delle sterpaglie, appicchi roghi che poi non riesce a governare. Al netto di tutto ciò, la vera origine del problema è un’altra: dietro ai roghi ci sono quasi esclusivamente mani criminali che cercano di causare il massimo danno al territorio. E’ mai possibile che 380 focolai si inneschino nello stesso giorno in diverse aree di una stessa regione? E contemporaneamente alla Sicilia bruciano anche Calabria e Campania. Dietro ai roghi c’è certamente una strategia criminale.

In parte perché attraverso il fuoco vogliono rivendicare la loro ‘autorità’ sul territorio. Ma soprattutto si tratta di una risposta alla forte attività antimafia da noi svolta nel mondo dell’agricoltura. Abbiamo liberato tanti lavoratori onesti e tanti onesti amministratori dalla cappa mafiosa che li opprimeva. Ci tengo a sottolineare che recentemente ho partecipato a un convegno regionale di Coldiretti al quale hanno presenziato aziende agricole di tutte le province siciliane. In questo incontro ho raccolto un bellissimo segnale: gli imprenditori finalmente si sentono liberi di denunciare i mafiosi.

Chi incendia utilizza una serie di tecniche che consentono di dileguarsi prima che il rogo divampi. Un espediente particolarmente crudele è quello dei gatti incendiari ai quali vengono attaccati degli inneschi alle code. I poveri animali scappano e spargono le fiamme in più luoghi, consumandosi a loro volta nei roghi e non lasciando così alcuna traccia.

Quel protocollo sta effettivamente provocando dolorosi mal di pancia al mondo della criminalità: dopo l’approvazione in Senato il protocollo è diventato legge dello Stato quindi andrà a scardinare non solo gli interessi della mafia siciliana, ma anche della Camorra, della ‘ndragheta e di tutte le altre organizzazioni mafiose del Paese. I colpi che abbiamo assestato a Cosa Nostra in Sicilia, con tutte le operazioni e i sequestri effettuati, ora si andranno a replicare nelle altre regioni. Quindi è evidente la preoccupazione di chi per anni ha incassato milioni di euro truffando sull’elargizione dei fondi europei, senza averne titolo e senza alcun controllo.

In Sicilia ho chiesto e ottenuto dal comando generale dei Carabinieri l’intervento dei Cacciatori, un reparto di 56 professionisti capaci di lavorare in situazioni estreme, anche rimanendo in appostamento per 24 ore, immobili e mimetizzati nella vegetazione. Spero che i Cacciatori prendano qualcuno col cerino ancora in mano perché la nuova legge sui reati ambientali prevede pene pesantissime per chi incendia. Magari potremmo imbatterci in qualche affiliato a una famiglia mafiosa, possibilmente già colpito da interdittiva antimafia per via del protocollo. In questo caso oltre alla condanna per incendio doloso, in base al nuovo codice sull’ambiente, gli darebbero anche l’associazione mafiosa, che significa una decina d’anni di galera in più. Beccare in flagranza queste persone è veramente complicato. Speriamo che si possa porre rimedio con un’azione forte di prevenzione che passi anche attraverso un controllo del territorio capillare.

Constato che il Corpo Forestale si è ottimamente inserito all’interno dell’Arma dei Carabinieri, ritagliandosi delle competenze specifiche oltre a quelle che già aveva. L’Arma è una struttura fluida, presente in tutto il territorio nazionale. Ritengo che da questa collaborazione possa scaturire un reciproco beneficio in termini di una maggiore efficienza sia nella prevenzione che nella repressione dei reati ambientali.

Io ho già chiesto, e ottenuto, che il mio protocollo di legalità diventasse legge dello Stato: al Senato il cosiddetto ‘protocollo Antoci’ è stato votato da tutte le forze politiche. Penso che sia un segnale importante. E’ inammissibile che per più di dieci anni le mafie si siano finanziate attraverso i fondi europei producendo autocertificazioni false a firma di personaggi che sono stati al 41bis. E’ assurdo anche solo immaginare che un soggetto che abbia trascorso 13 anni al 41bis possa autocertificare di non avere mai avuto problemi giudiziari per fatti di mafia! Le autocertificazioni e i mancati controlli sono stati una violenza alla dignità degli agricoltori e degli allevatori onesti che si alzano alle 4 di mattina e il cui duro lavoro migliora la qualità dei territori. Mi sarebbe piaciuto pensare che questo provvedimento fosse nato indipendentemente dall’attentato che ho subìto lo scorso anno. Tuttavia va bene lo stesso, lo Stato ha risposto con indagini, arresti, sequestri dei beni e, da ultimo, con questa norma che produrrà un effetto tsunami a livello nazionale contro l’illegalità nella gestione dei fondi europei. Dopo la legge Pio La Torre* non si erano mai viste norme tanto incisive sotto il profilo del danno economico alla mafia.

*La c.d. legge Rognoni-La Torre (646/1982) introdusse nel codice penale il reato di ‘associazione di tipo mafioso’ (416bis) e misure atte a contrastare l’illecito accumulo di capitali. Pio La Torre fu primo firmatario di questa legge alla stesura della quale fecero da consulenti tecnici anche Giovanni Falcone e Paolo Borsellino. Sia La Torre, che Falcone e Borsellino sono poi caduti sotto i colpi di Cosa Nostra.

Qui si sono incontrate realtà inquinate da connivenze e paure: mille ettari venivano pagati dai mafiosi 36.400 euro l’anno, e su quegli stessi mille ettari i mafiosi incassavano fino a un milione e 300mila euro l’anno, con contratti medi di 5-9 anni. Parliamo quindi di una rendita del 2000%, da moltiplicare per i milioni di ettari potenzialmente a disposizione in Sicilia. Nelle zone interessate si è trattato di un mercato così ricco da rendere secondari business tradizionali come rapine ed estorsioni. E tutto avveniva in maniera ‘legale’ e automatica, tramite bonifici versati direttamente sui conti correnti degli interessati. Per difendere un business così ricco i mafiosi non si facevano scrupoli ad utilizzare le classiche armi della violenza e dell’intimidazione. Le connivenze invece c’erano da parte di chi, ricevuta la cartellina del mafioso con l’autocertificazione falsa, magari faceva finta di non sapere nulla consentendo il trasferimento dei documenti all’ente erogatore. Ci sono più mondi intorno a questa vicenda, ma una cosa è certa, non dovevano passare 10 anni. Non si dovevano bruciare 5 miliardi di euro nella sola Sicilia.

L’antimafia non si fa predicando, l’antimafia si fa praticando. Le prediche le lasciamo fare ad altri, noi cerchiamo di dedicarci ai fatti perché questa terra di prediche ne ha sentite anche troppe. Adesso il vento è cambiato. Ho raccolto un bellissimo messaggio da parte degli imprenditori di tutta la Sicilia, che posso sintetizzare così: ‘Adesso non ci sentiamo più soli, voi state prendendo i criminali e adesso noi non abbiamo più paura di partecipare ai bandi pubblici. E se individuiamo qualche mafioso lo denunciamo’.

Delle intercettazioni riportate dalla stampa, nelle quali alcuni mafiosi si domandano di chi sia la responsabilità dell’attentato da me subìto, non si ha riscontro nemmeno nelle procure. La vicenda ha destato clamore, e la mafia detesta il clamore perché nuoce ai suoi affari. Come sa chi segue i fatti di mafia, se l’attentato fosse stato opera di cani sciolti, e non invece una decisione presa ai vertici di Cosa Nostra, dopo appena tre giorni i carabinieri avrebbero ritrovato i cadaveri incaprettati di esecutori e mandanti in qualche pubblica piazza, perché la mafia non ammette azioni non autorizzate contro gli esponenti delle istituzioni. Invece non si è trovato alcun cadavere incaprettato. La mafia voleva far passare un segnale: ‘Dobbiamo farla pagare ad Antoci che ci sta rovinando’, come viene più volte ripetuto in varie intercettazioni. Perché quello dei fondi europei era un mercato ricchissimo che sosteneva le famiglie dei carcerati, il mercato della droga, gli investimenti immobiliari, e molti altri business malavitosi. Aggiungo che esiste anche un processo di alterazione della realtà tramite il quale i mafiosi cercano di far passare determinati messaggi provando a danneggiare la reputazione delle persone che gli mettono i bastoni fra le ruote.

In Sicilia lo chiamiamo ‘mascariamento’ (in Sicilia ‘mascariare’ significa sporcare e imbrattare, in questo caso sporcare la reputazione ndr). Quando la mafia non ti può ammazzare cerca di delegittimarti. Una volta un giornale si è inventato che mia moglie fosse nipote di un capomafia. Dopo le nostre denunce sono arrivate le lettere di scuse in cui si sosteneva che l’errore fosse da imputare ad un semplice caso di omonimia, come se in un paesino di 5mila abitanti non fosse fin troppo facile alzare il telefono per fare una semplice verifica. Dopo le mie denunce pare che dietro a quelle dichiarazioni finite sulle stampa ci fossero uomini della mafia. Mia moglie intanto è finita in ospedale dal dispiacere. Questa terra funziona così. Giovanni Falcone, per esempio, non l’hanno ammazzato quel maledetto giorno di maggio a Capaci, l’hanno ammazzato giorno dopo giorno, con tutte le delegittimazioni che gli hanno fatto subire, con tutte le volgarità che hanno scritto contro la sua persona, non ultima che si era messo da solo le bombe all’Addaura. Questa è la storia della Sicilia. Però noi la vogliamo cambiare questa Sicilia. Ma mi consenta di chiudere con una considerazione…

[npleggi id=”https://www.nanopress.it/cronaca/2016/05/18/giovanni-falcone-ucciso-dai-mafiosi-tradito-dallo-stato/11371/” testo=”Giovanni Falcone ucciso dai mafiosi, tradito dallo Stato”]

In Sicilia le persone per bene sono molte di più dei mafiosi. Quando le brave persone fanno squadra i criminali indietreggiano impauriti dalla nuova onda di legalità. E i cittadini si sentono più sicuri nel denunciare. Ho rischiato di morire nell’attentato e ho perso la libertà, come l’hanno persa i miei familiari. Ma quando vengo circondato da persone che mi incoraggiano dicendomi ‘Presidente vada avanti, andiamo avanti insieme, diamo un calcio nel sedere alla mafia’ sono fiducioso, e allora dico ai ragazzi della mia scorta: ‘Avete visto? Dopo tutto ne vale la pena!’

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