Campi flegrei, il vulcano della solfatara è il più pericoloso d’Europa

Il vulcano più pericoloso d’Europa? Secondo gli esperti si trova a Napoli, ma non si tratta dell’arcifamoso Vesuvio, ‘simpaticamente’ invocato dalle tifoserie calcistiche di mezza Italia contro i supporter partenopei, ma di quello dei Campi Flegrei, meno noto al di là dei confini del capoluogo campano. Per la prima volta questo supervulcano è stato esplorato grazie ad una perforazione di 500 metri, che ha permesso di studiare a fondo l’entità di questa bocca di fuoco, paragonabile ai vulcani più pericolosi del mondo per la violenza delle eruzioni, ma che fortunatamente sono molto rare. Intanto sale la preoccupazione per una possibile eruzione dei Campi Flegrei sale, specialmente a Pozzuoli, nella caldera del vulcano più grande e pericoloso d’Europa. Il suo nucleo incandescente è salito e il suolo si è sollevato di ben 25 centimetri. C’è la possibilità che il magma fuoriesca con un’eruzione micidiale (qui le ultime news). Il livello di allerta è cresciuto ma l’allarme è moderato.

Grazie a questo studio approfondito, gli esperti hanno potuto compiere alcune scoperte piuttosto interessanti: innanzitutto la cosiddetta caldera, l’area delle bocche del vulcano, non comprende tutta la città come si pensava fino ad oggi, ma l’area che si estende da Monte di Procida a Posillipo. Inoltre si è potuto comprendere meglio il meccanismo del bradisismo, quel fenomeno consistente nel sollevamento e nell’abbassamento del suolo, piuttosto noto per chi abita nella zona di Pozzuoli e nella periferia occidentale di Napoli. Giuseppe De Natale, direttore dell’Osservatorio Vesuviano dell’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia, spiega che ‘il fenomeno è causato per il 50 per cento dal magma e al 50 per cento dall’acqua nelle rocce. In pratica il magma sale fino a 5-6 chilometri e riscalda l’acqua che fa gonfiare le rocce provocando il sollevamento del suolo‘.

Per studiarlo dall’interno, sin dal 2012 è stata avviata una perforazione nell’ambito del progetto ‘Campi Flegrei Deep Drilling Project’, guidato dall’Ingv e finanziato dal Consorzio internazionale per le perforazioni profonde continentali, ed oggi sappiamo qualcosa di più di quest’area, in particolare della caldera, con i suoi 15 chilometri di diametro e le sue manifestazioni gassose effusive, fenomeni vulcanici secondari noti comunemente come fumarole e sorgenti termali.

Da quando è partito il progetto è stato installato un primo pozzo pilota di 500 metri, con all’interno sofisticati sensori per studiare ogni minimo movimento del vulcano, ed è previsto un secondo di 3,5 chilometri ancora da realizzare: ‘In questo modo teniamo costantemente sotto controllo il vulcano con l’obiettivo di studiarlo e di mitigare il rischio‘, conclude De Natale. Temperatura, pressione del sottosuolo e sismicità sono i segnali a cui bisogna prestare attenzione per prevedere una eventuale eruzione, e il pozzo ha permesso di ricostruire anche la storia dei Campi Flegrei e delle sue eruzioni, in particolare una avvenuta 45.000 anni fa, finora sconosciuta. Ma molti altri segreti sono ancora celati dentro il corpo del supervulcano, in attesa di essere sviscerati dagli studiosi, impegnati allo stesso tempo per tenere lontana la minaccia con un efficace piano di prevenzione.

La Protezione Civile già nel 2012 ha innalzato il livello di allerta da verde a giallo, e ancora è così che rimane, mentre l’osservazione della zona è costante. Le fumarole presenti nella solfatara sono aumentate di temperatura e anche di quantità. “Il volume delle emissioni è cresciuto di circa dieci volte negli ultimi dieci anni, soprattutto a Pisciarelli, e i gas si sono riscaldati di 4-5 gradi” conferma Francesca Bianco, direttrice dell’Osservatorio Vesuviano dell’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia. “Dal cielo, grazie ai satelliti che usano il radar, riusciamo a misurare deformazioni del suolo in alcuni casi fino a pochi millimetri” conferma Riccardo Lanari, direttore dell’Istituto per il rilevamento elettromagnetico dell’ambiente Irea del Cnr, come riporta la Repubblica. “Abbiamo iniziato le misurazioni negli anni 90. E a Pozzuoli abbiamo registrato un rigonfiamento di 25 centimetri”. Ed è proprio questo uno dei segnali dell’attività vulcanica in corso, come l’aumento del rapporto fra anidride carbonica e acqua nelle fumarole.

La risalita del magma sotto i Campi Flegrei è iniziata intorno al 2000-2005, dodici anni dopo l’allarme resta, anche se moderato, perché nonostante i modelli statistici studiati non si può avere la certezza di quando avverrà un’eruzione, anche se in molti temono possa riproporsi un fenomeno eruttivo come quello accaduto nel 1538 presso Monte Nuovo.

Testi a cura di Giulio Ragni e Kati Irrente

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