L’Artico tra cambiamenti climatici e mire geopolitiche

Temperature record si sono registrate nel mese di giugno a nord del Circolo polare artico: a Verkhoyansk, una località della Siberia orientale tra le più fredde al mondo, lo scorso 20 giugno è stata raggiunta la temperatura record di 38° C. Il dato fa ancora più impressione se si considera che generalmente, nel periodo di giugno, la temperatura media nell’area di Verkhoyansk è di circa 20° C. Nell’Artico temperature anomale si erano peraltro già registrate nel corso dell’inverno e della primavera, in particolar modo nella Siberia artica, dove temperature ben oltre la media hanno caratterizzato l‘inverno più caldo mai registrato nella regione da quando vengono effettuati i rilevamenti.

“La Siberia e il Circolo polare artico in generale hanno grandi fluttuazioni di anno in anno, e in passato hanno già sperimentato altri mesi di giugno relativamente caldi. Ciò che è preoccupante è che l’Artico si sta riscaldando più velocemente del resto del mondo”, ha detto Carlo Buontempo, direttore del Copernicus Climate Change Service, commentando le recenti rilevazioni.

Le conseguenze geopolitiche di un Artico sempre più caldo

Le conseguenze geopolitiche di un Artide sempre più caldo sono piuttosto rilevanti, talmente rilevanti che numerosi esperti ed analisti sono da tempo concordi nell’affermare che nel prossimo futuro, e secondo alcuni già oggi, l’Artico costituirà il principale scenario di tensioni internazionali. I motivi di tale affermazione sono presto detti: la presenza nella regione di vasti giacimenti di petrolio e gas naturale non ancora sfruttati (si stima che un quarto delle riserve mondiali di petrolio e gas si trovi in Artide); l’apertura di rotte commerciali artiche; la vasta presenza nell’area di risorse minerarie quali oro, argento, ferro, uranio, zinco, platino e diamanti; importanza strategico-militare della regione.

In questo scenario, l’aumento delle temperature – con il conseguente scioglimento dei ghiacciai – e i progressi tecnologici raggiunti nell’estrazione di idrocarburi e minerali, contribuiscono a rendere l’Artico più accessibile, facendone così la nuova frontiera del confronto tra potenze, interessate ad accaparrarsi le risorse presenti nella regione.

Oggi i principali contendenti in Artide sono Russia, Stati Uniti e Cina. In particolare, è Mosca ad avanzare da tempo le pretese territoriali più forti sulla regione, considerata fondamentale per il futuro della Russia: l’ingente schieramento di forze deciso negli ultimi anni e volto a rafforzare la presenza militare russa nell’area va proprio in questa direzione. Proprio lo scorso marzo, Vladimir Putin ha firmato un decreto intitolato “On the Basics of State Policy of the Russian Federation in the Arctic for the Period until 2035”, espressione del nuovo piano strategico per l’Artico del Cremlino, che punta ad industrializzare l’area e a sfruttarne le ampie risorse.

A contrastare le mire russe sull’Artico ci sono soprattutto Stati Uniti e Cina, potenze entrambe interessate ad espandere la propria influenza sulla regione. In particolare ad inizio maggio, in piena pandemia di Coronavirus, un’esercitazione congiunta USA-Regno Unito nel mare di Barents, nel mar Glaciale Artico – la prima condotta dagli USA nella regione dalla fine della guerra fredda – ha riacceso i riflettori sul crescente interesse statunitense per l’area, dopo che nell’agosto del 2019 il presidente americano Donald Trump aveva affermato di voler comprare la Groenlandia, proposta immediatamente rispedita al mittente dalla Danimarca. In tutto questo anche la Cina cerca di rafforzare la propria presenza economica nell’area. E l’Unione Europea? Al momento sembra essere una semplice spettatrice della fondamentale partita apertasi al di sopra del Circolo polare artico, sicuramente foriera di importanti sviluppi.

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