Arance di Sicilia: succo italiano mischiato con quello brasiliano

arance

Succo d’arancia tagliato come la coca, mescolato con succo brasiliano. Il potere soffocante delle mafie, che impone rotte dei camion e prezzi. Sfruttamento di braccianti extracomunitari, costretti a vivere in condizioni igieniche scarse e con turni di lavoro massacranti. È il quadro impressionante che emerge dal rapporto FilieraSporca, un dossier firmato dalle associazioni daSud, Terra e Terrelibere, e a cui ha dedicato un’inchiesta l’Espresso, mettendo sotto la lente di ingrandimento l’intera filiera agroindustriale dell’arancia in Sicilia, dalle coltivazioni agli scaffali dei supermercati, svelandone il lato oscuro ad un’opinione pubblica ignara di tutto ciò.

Nel rapporto, suddiviso in vari capitoli, vengono affrontati i nodi di ogni passaggio della lavorazione degli agrumi, e il quadro generale che emerge è quello di una catena di sfruttamento dove ognuno scarica i costi sull’anello più debole. Si legge ad esempio che ‘i mercati ortofrutticoli nascono come sbocco commerciale delle produzioni locali. Dovrebbero rifornire piccoli dettaglianti e mercati rionali. Sono sostanzialmente l’alternativa primaria alla grande distribuzione. Spesso funzionano male. Come abbiamo visto importano dall’estero. Sono dominati da un numero eccessivo di mediatori‘. I trafficanti criminali si fanno pochi scrupoli e non esitano a mischiare il succo italiano con quello di importazione estera, alla faccia del ‘succo italiano al cento per cento’: per beffare i controlli basta una ‘bolla d’accompagnamento sostituita con un’altra. Con un solo gesto 510 tonnellate di succo d’arancia brasiliano diventavano italiane. Pronte per essere tagliate con gli agrumi di Rosarno‘. Esattamente lo stesso metodo con cui la ‘ndrangheta taglia la cocaina.

La contraffazione continua, un metodo secondo il rapporto utilizzato ormai dalla stragrande maggioranza delle aziende, ha condotto alla chiusura di numerosi ‘spremitori’, ossia gli stabilimenti deputati alla produzione del succo, che inquinavano fiumi e mari scaricando i residui inquinanti. E poi c’è lo sfruttamento dei migranti: in provincia di Catania si produce la caratteristica arancia rossa, la sanguinella, e molti di coloro che vivono nel centro per richiedenti asilo di Mineo, hanno trovato caporali disposti a concedergli il favore di un lavoro. Raccolgono le arance come a Rosarno, ore ed ore a spezzarsi la schiena per pochi spiccioli, vivendo ammassati come nei lager.

Questa è la realtà della filiera produttiva dell’arancia, in barba alle leggi e alle regole che dovrebbero garantire trasparenza e sicurezza del prodotto. Ma di fronte al profitto e alla convenienza, non ci sono regole che tengano.

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