Trapianto di mani (e tra poco di braccia): perché quello italiano funziona

Si dice chirurgia plastica e si pensa a seni rifatti e labbra gonfiate. Ma si sbaglia. La chirurgia plastica è anche molto altro (e molto di più), come emerge dal 64mo congresso nazionale della SICPRE (Milano, 17-19 settembre 2015), la società scientifica che raccoglie l’80% dei chirurghi plastici italiani. Tra loro, Massimo Del Bene, primario di Chirurgia Plastica e della mano dell’Ospedale San Gerardo di Monza, nonché autore del primo trapianto bilaterale di mano andato a buon fine. Presidente di una delle sessioni del congresso dedicate agli arti, Del Bene anticipa le sue prossime mosse. “Ci stiamo preparando a eseguire il primo trapianto bilaterale di braccia in Italia, il quinto nel mondo. È iniziata la ricerca del donatore e con buone probabilità l’intervento potrebbe avvenire il mese prossimo, a ottobre”.

In quell’occasione, Del Bene ricorrerà allo stesso “trucco” utilizzato in occasione del trapianto bilaterale di mani, trucco che con fortissime probabilità ne ha decretato il successo. “Il trapianto è stato eseguito nel 2010 su una paziente di allora 49 anni – racconta Del Bene -. A cinque anni di distanza, è ancora l’unico paziente al mondo trapiantato e in cura con un solo farmaco. Gli altri casi di trapianto multi-tissutale, mani, faccia, sono in terapia con la solita triplice terapia immunosoppressiva. In aprile, durante il Congresso Mondiale sui trapianti multi-tissutali di Philadelphia si è parlato dell’uso delle terapia con cellule staminali mesenchimali, ma il nostro caso è ancora l’unico al mondo ad avere usato questa nuova terapia”.

In cosa consiste? Nella preparazione del paziente con cellule staminali autologhe. Nel trapianto del 2010, infatti, Del Bene e la sua equipe hanno prelevato dal midollo della paziente cellule staminali mesenchimali, coltivandole poi in laboratorio per favorirne l’espansione. Dopo 24 ore, le staminali sono state trasferite per via endovenosa alla paziente stessa.

“Nel 2010 ci siamo mossi sulla base di una teoria – ricorda Del Bene – quella che le cellule staminali mesenchimali avessero un forte potere immunosoppressore e fossero quindi in grado di ridurre la reazione di rigetto dell’organismo. Credo che questa teoria sia oggi confermata dai fatti. Oltre ad assumere un farmaco su tre, la nostra paziente assume quell’unico farmaco addirittura al di sotto della soglia terapeutica, a tal punto che ci stiamo interrogando sulla possibilità di sospendere del tutto la terapia. Ma già così, in termini di qualità della vita della paziente, i vantaggi sono grandissimi”.

Infatti, i farmaci antirgetto aiutano l’organismo ad “accettare” il trapianto, ma allo stesso tempo ne indeboliscono in modo spesso drammatico le risposte immunitarie, a tal punto da rendere spesso impossibile lo svolgimento di una vita normale. Inutile dire che la strada è segnata e qualsiasi nuovo trapianto, a partire da quello imminente delle braccia, ripartirà dalle conclusioni a cui è giunta l’equipe di Del Bene.

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