Sud America in rivolta: le cause della crisi

Diversi sono i focolai di rivolta che negli ultimi mesi si sono aperti in Sud America: dall’Ecuador al Cile, dall’Argentina alla Bolivia – e ancor prima il Venezuela – un’ondata di proteste, spesso soffocate nella violenza, ha scosso e continua a scuotere il continente sudamericano. Alla base delle proteste le numerose crisi economiche, la quasi totale assenza di welfare e la presenza di governi spesso corrotti e repressivi. Dopo circa due decenni di stabilità politica e di congiuntura economica favorevole grazie al boom delle materie prime, il Sud America si trova ora a dover affrontare una nuova crisi, le cui origini hanno però radici profonde.

Sud America in rivolta: alle origini della nuova crisi

Le radici della nuova crisi affondano nelle politiche economiche attuate nel continente sudamericano a partire almeno dagli anni Ottanta del secolo scorso, politiche spesso dettate dall’esterno. Nel corso degli anni Ottanta infatti, per affrontare lo spinoso problema del debito estero – cresciuto vertiginosamente nella regione nel corso degli anni Settanta e nella prima metà del decennio successivo – e permetterne il pagamento, gli organismi finanziari internazionali, Fondo Monetario Internazionale in primis, imposero ai Paesi latinoamericani rigidi programmi di stampo neoliberista che, attraverso pesanti misure di austerità, una drastica riduzione della spesa pubblica e della presenza dello Stato in economia con pesanti conseguenze sul welfare, l’apertura al mercato e agli investimenti stranieri e l’aumento delle esportazioni, costrinsero i Paesi del Sud America a faticosi aggiustamenti strutturali.

Le politiche ultraliberiste imposte ai governi della regione, oltre a non risolvere la crisi del debito, ebbero costi pesantissimi che contribuirono a portare l’America Latina in una gravissima situazione di recessione economica, tanto che per descrivere gli anni Ottanta in America Latina venne coniata l’espressione década perdita. Negli anni della cosiddetta decade perduta infatti, il continente latinoamericano andò incontro ad un deciso peggioramento degli indici industriali e agricoli, ad un aumento esponenziale dell’inflazione, ad una considerevole diminuzione dei salari e ad una crescita vertiginosa della povertà e delle diseguaglianze.

Nonostante ciò, da allora tentativi di correzione non ci sono sostanzialmente stati, con i governi sudamericani sempre più sottomessi alle logiche economiche neoliberiste dettate dagli organismi finanziari internazionali, FMI in testa. La fine del confronto bipolare, infatti, ha favorito la continuazione delle politiche ultraliberiste in Sud America, politiche che hanno avuto l’effetto di impoverire sempre di più le classi popolari e i ceti medi, nonostante le ricorrenti crisi economiche ne denunciassero la debolezza. Soprattutto, il fatto che le misure venissero dettate dall’esterno ha comportato negli anni una drastica riduzione dell’autonomia e della sovranità nazionale dei singoli Stati, il che ha contribuito ad indebolirne la vita democratica. Gli effetti delle politiche adottate in Sud America a partire dagli anni Ottanta sono dunque ancora oggi visibili e alla base delle ricorrenti crisi e della rivolta popolare.

Sebbene a partire dai primi anni 2000, grazie ad una congiuntura economica favorevole dovuta al boom delle materie prime, il continente latinoamericano abbia visto aumentare il proprio tasso di crescita e la povertà diminuire, fattori che negli ultimi due decenni hanno permesso anche il raggiungimento di una certa stabilità politica. Ora che la spinta delle materie prime è terminata, i nodi sono giunti al pettine, rendendo manifeste tutte le contraddizioni e le problematiche del subcontinente.

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