Sogno di una notte di mezzo Giro

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Quando il Giro arriva a metà strada non ci si è nemmeno accorti che era iniziato del tutto, perché fugge vertiginosamente e quando uno ci fa l’abitudine è già agli sgoccioli. E così si capisce quanto è vero che la nostalgia inizi già prima dell’assenza. Il Giro è solitudine in mezzo al gruppo, perché il ciclismo è uno sport di squadra, ma è anche e soprattutto singolo. Di uno e uno e uno, perché uno è il più solo di tutti i numeri. Quando sei in pianura puoi ripararti nella pancia del drappello e il vento quasi non lo senti. Ma quando sei su una salita ripida non c’è nessuno che spinga i pedali per te e così devi andare oltre quella curva e poi quell’altra e quell’altra ancora. Tra l’ordine e la pulizia vintage di Salsomaggiore ieri e il silenzio elegante delle Langhe oggi, il paese itinerante della corsa rosa vive il suo sogno di una notte di mezzo Giro.

Siamo a metà e a metà c’è sempre quel momento di stallo tra primo e secondo tempo, quando poco è successo e ancora molto deve accadere. Sempre che accada, certo: e se invece non succede niente e tutto sparisce come una bolla di sapone? È un momento che mette un po’ di agitazione, di quell’emozione che ti prende nella pancia e ti disordina un po’, soprattutto se non sai aspettare e le dita ti si intrecciano nelle mani, perché vuoi trattenere la fuga. Quanto dura una notte? Quanto è buia? Quanto passerà prima di rivedere il sole?

Le sere di maggio sono lunghissime, forse troppo, perché il crepuscolo si estende come un elastico facendo dimenticare alla notte di completare il proprio lavoro. C’è un momento intorno alle nove in cui sembra di vivere dentro quel quadro di Magritte con la casa immersa nel buio con dietro il cielo sereno. Non è inquietante, è semplicemente così com’è. E allora si cammina per il paese occupato dalle truppe rosa, un esercito gentile e abbronzato, che arriva come un vento arrabbiato, scompiglia tutto e poi se ne va.

Durante la notte di mezzo Giro si fa sempre il punto della situazione, si calcolano le cartucce a disposizione e ci si guarda negli occhi. Ma tanto è inutile inventarsi troppe previsioni perché niente è come si immagina e così ci si sistema il casco, si dà un piccolo sorso d’acqua e si tira giù un dente della catena. Il gran premio della montagna si deve prendere in testa e poi giù con coraggio dalla discesa senza sapere cosa c’è dietro ogni curva. Il crepuscolo è finito, l’ora blu ha spento i propri profumi, è ora di affrontare la notte e il mistero. Per poi essere i primi a vedere il mattino.

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