Semestre europeo italiano, il bilancio: cosa non è stato fatto da Renzi

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Si chiude ufficialmente il semestre di presidenza europea per l’Italia ed è tempo di bilancio per Matteo Renzi e il suo governo. In attesa del discorso del premier, è stato il ministro dell’Economia Pier Carlo Padoan a parlare in anticipo. Nel 2015 “la recessione scomparirà”, anche grazie al lavoro dell’Italia a livello europeo sia per le misure concluse sia “per l’impronta e le priorità” della nuova commissione, cioè “crescita, investimenti, occupazione”. Un risultato importante visto che “sei mesi fa non eravamo a questo punto. Abbiamo fatto molti passi avanti, ma molto resta da fare”. Negli ambienti europei e non solo si inizia a delineare però un ritratto in chiaroscuro della presidenza di Renzi.

L’Italia ha avuto alcuni successi, come l’elezione di Federica Mogherini ad Alto Rappresentante per la Politica Estera. L’inserimento di “crescita” e “flessibilità” nella politica economica è senza dubbio dovuta all’insistenza del governo italiano, l’accordo su Tritone per la gestione dell’immigrazione è una situazione positiva, ma molto non è stato fatto.

L’inizio pimpante
Il semestre italiano, il primo dal 2003, è partito bene, con uno slancio che sembrava far auspicare sei mesi di lavoro intenso. Vero che, essendo nella seconda parte dell’anno, alla fine si perde un mese o poco più tra vacanze e chiusure, ma le prospettive erano positive. Rispetto all’ultima presidenza sotto il governo di Silvio Berlusconi, iniziata con il diverbio con Martin Schulz e il noto “kapò”, Renzi arriva in Europa forte di un consenso popolare come pochi nel Continente e in Italia. Il PD prende il 40% alle elezioni, i dem sono il gruppo parlamentare più numeroso, le riforme sono in fase di avvio: lo scenario è positivo. Ci sono però delle circostanze che possono frenare il piano d’azione del governo italiano.

L’UE si trova a cavallo tra la fine della presidenza Barroso e l’inizio di quella che sarà la presidenza Juncker. La congiutura economica è tale che il rigore europeo inizia a vacillare; ci sono da eleggere un nuovo Parlamento, una nuova Commissione e un nuovo Presidente e l’azione non può essere incisiva da subito. In realtà, anche questo “limbo” europeo, avrebbe potuto essere un fattore positivo, ma il risultato finale è stato deludente.

Le nomine: Juncker e Mogherini

Non siamo interessati ai nomi ma alle politiche“. Fin dall’inizio del semestre europeo, Renzi lancia la sua sfida all’UE. “L’Europa si dia da fare“, all’Italia non interessano “le poltrone“, ma i fatti. Inizia da subito il braccio di ferro con la Germania di Angela Merkel, tra il rigore e la flessibilità. Si arriverà a un compromesso con l’elezione di Jean-Claude Juncker a presidente della nuova Commissione Europea, e Federica Mogherini alla Politica Estera.

In molti, anche a livello europeo però, avrebbero preferito un presidente italiano in Commissione: il nome di Enrico Letta potrebbe rappresentare un punto di svolta anche per la politica italiana in Europa, votata alla flessibilità e alla crescita. Difficile però che Renzi avrebbe appoggiato l’ex premier italiano a cui ha “soffiato” la guida della politica italiana.

L’appoggio a Juncker è poi un modo per dimostrare la buona volontà italiana di non abbandonare del tutto le regole europee, a partire dallo sforamento del 3%. C’è poi un altro tema chiave per il semestre italiano, l’immigrazione. Ecco che spunta il nome di Federica Mogherini a Lady Pecs. Renzi non cede di un millimetro, vuole l’allora titolare della Farnesina alla guida della politica estera. L’elezione della Mogherini e la scelta dell’ex ministra anche a vicepresidente della Commissione, sono una vittoria tutta renziana. Solo il tempo però potrà chiarire se la mossa è stata indovinata.

Flessibilità e crescita

Le parole chiave del semestre italiano sono flessibilià e crescita. Renzi vuole forzare la mano all’Unione, la crisi economica sta soffocando il Paese e le regole del rigore tagliano le gambe a ogni tentativo di ripresa. Il premier è chiaro fin dall’inizio: l’Italia farà la sua parte con le riforme “non perché ce lo chiede l’Europa, lo facciamo per noi, perché ne abbiamo bisogno“, ma l’Unione deve essere flessibile, lasciando un margine di manovra per gli investimenti. “Noi rispettiamo il 3%, ma nessuno abbia il diritto di trattare gli altri Paesi con lo stile con cui si trattano gli studenti“, dice quando la Merkel si scaglia contro la scelta della Francia di sforare il tetto del 3%.

Sono tempi di trattative, Juncker propone un piano investimenti, Renzi spinge perché la flessibilità entri nel vocabolario della politica europea e lo ottiene. “Un piccolo passo per l’Italia, un grande passo per l’Europa“, dichiara soddisfatto il premier italiano. Il documento della Commissione chiarisce che per i Paesi che attuano le riforme (leggi Italia) si potrà deviare temporaneamente dagli obiettivi di bilancio, con una riduzione degli sforzi se la differenza tra crescita reale e potenziale è superiore al 4%. In più viene inserita la “clausola per gli investimenti” che porterà a scorporare gli investimenti co-finanziati da Bruxelles dal calcolo del debito e del deficit: non sarà però uno scorporo totale per chi è già fuori dai parametri.

Una vittoria a metà: si è insistito sulla flessibilità e sulla crescita, si sono inserite nuove visioni della politica economica ma molto rimane da fare. C’è poi da dire che una mano all’Italia è arrivata dal Lussemburgo e dallo scandalo LuxLeaks che ha visto Junker al centro di sospetti per aver “aiutato” le multinazionali a pagare meno tasse possibili all’UE.

Da Frontex a Triton

Altro mezzo punto messo a segno da Renzi è il passaggio da Frontex a Triton per la gestione dell’immigrazione. L’Italia gestisce da tempo un’emergenza che è ormai cronica. I disperati che arrivano dalle coste africane e dal Medio Oriente non sono cessati, anzi.

Con l’acuirsi delle crisi internazionali, uomini, donne e bambini cercano di sbarcare sulle coste italiane. Dopo la strage di Lampedusa, il centro dell’attenzione si è spostato e l’Italia, fin dal governo Letta ha chiesto di affrontare la situazione a livello europeo. Rafforzare Frontex però non basta, spiega fin dal primo momento Renzi: da qui la creazione del piano Triton che vede impegnati tutti i paesi europei. Quote di accoglienza da suddividere tra le nazioni, gestione centralizzata, aiuti economici anche all’Italia. Il piano sembra funzionare, ma manca ancora qualcosa ed è la questione libica.

La Libia è fondamentale nella politica estera italiana ed europea: in una situazione di caos come è quella del paese africano, non è possibile fermare i trafficanti di esseri umani. Renzi ha dalla sua la Mogherini a capo della politica europea, eppure la questione libica fatica a entrare nell’agenda europea.

Ambiente ed economia

Alcuni risultati si sono avuti. Durante la presidenza italiana sono stati raggiunti gli accordi per l’economia, come la fine del segreto bancario, la clausola anti abusi contro la doppia non imposizione fiscale delle imprese multinazionali, l’accordo sull’antiriciclaggio. Merito del lavoro di Padoan, molto stimato in ambito internazionale e attento ai conti al di là di ogni demagogia. Parte del merito va anche allo scandalo LuxLeaks: Juncker ha giocato la carta del rigore contro gli evasori per ricostruirsi un’immagine solida dopo le accuse.

Bene ha fatto anche il ministro dell’Ambiente Gian Luca Galletti che ha lavorato a stretto contatto con la rappresentanza di Bruxelles e ha portato a casa l’approvazione della direttiva sugli Ogm (sulla libertà di vietare la coltivazione), bloccata da anni. Via libera anche all’eliminazione delle buste di plastica monouso e ai limiti alle emissioni di impianti di combustione di media grandezza. Prolungato anche l’accordo sul clima di Kyoto, monitoraggio delle emissioni nel settore marittimo, e rafforzata la politica di riduzione dei rifiuti e del riciclo su cui la Commissione si era espressa in maniera negativa. Per gli ambientalisti però il pacchetto ambientale è ancora troppo timido.

Agenda digitale e agricoltura

Tra i fallimenti della presidenza italiana, si registrano due aree fondamentali per la crescita del Paese: l’agenda digitale e l’agricoltura. Il rilancio dell’economia con le nuove tecnologie è stato mancato: in Europa ancora si discute di un roaming comune, il web è lasciato in mano ai grandi colossi e le infrastrutture mancano, soprattutto in Italia.

Poco è stato ottenuto poi per la difesa del made in Italy, traino delle esportazioni, e per la tutela delle eccellenze agroalimentari. Il ministro Maurizio Martina non è riuscito a concludere la normativa sul biologico, come a ottenere nuove misure a favore dei giovani agricoltori. L’aggravante è l‘Expo 2015, tanto spinto da Renzi anche e soprattutto in sede europea, è incentrato sul cibo, sull’agricoltura e su come sfamare il mondo, cose in cui l’Italia eccelle nonostante il freno della politica.

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