Referendum costituzionale, com’è e come dovrebbe cambiare il titolo V della Costituzione

Incontro Governo Regioni a Palazzo Chigi

In merito al referendum costituzionale, il tema della modifica del Titolo V della Costituzione è forse quello meno dibattuto e in molti si chiedono cosa riguardi. La tematica è molto delicata e riguarda le competenze Stato-Regioni, cioè le materie su cui decidono e legiferano e, nel complesso, una visione diversa della politica generale, di stampo più o meno federalista. La riforma su cui si voterà con il referendum costituzionale prevede una nuova ripartizione delle competenze con molte materie che tornano sotto il governo centrale e l’eliminazione delle materie “in concorrenza”: vediamo più nel dettaglio.

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Iniziamo chiarendo cos’è il Titolo V della II parte della Costituzione, così come viene riportato anche sulla scheda del referendum. Compresa nella seconda parte, è l’insieme degli articoli costituzionali che riguardano Regioni, Province e Comuni. Come abbiamo visto, la riforma Boschi va a modificare il Senato che diventa una sorta di Camera delle autonomie e le dà potere legislativo per i temi strettamente legati alla vita degli enti locali. Il Titolo V è stato modificato molte volte nel corso degli anni perché è cambiata la visione dello stato, da centralista (tutto viene deciso a Roma) a federalista (più potere alle Regioni).

IL TITOLO V COM’È OGGI

Il Titolo V della Costituzione è quello che dà l’attuale aspetto a Regioni, Province e Comuni. Il primo articolo della sezione è il 114 che recita: “La Repubblica è costituita dai Comuni, dalle Province, dalle Città metropolitane, dalle Regioni e dallo Stato. I Comuni, le Province, le Città metropolitane e le Regioni sono enti autonomi con propri statuti, poteri e funzioni secondo i princìpi fissati dalla Costituzione. Roma è la capitale della Repubblica. La legge dello Stato disciplina il suo ordinamento“.

A seguire, il Titolo V elenca le materie su cui legiferano le Regioni, lasciando le altre tematiche in mano allo Stato. Come si diceva, le competenze sono state al centro di lunghi dibattiti, iniziati negli anni Settanta e culminati con la riforma del 2001, seguendo un disegno federalista: se prima era Roma che decideva tutto, nel corso degli anni i poteri di legiferare sono stati dati alle Regioni, diventate sempre più autonome soprattutto a livello economico. Uno su tutti è la sanità: oggi il ministero dà le linee guida ma sono le singole Regioni a organizzarsi e a decidere come spendere i soldi dei cittadini. Il senso in cui ci si è mossi è stato uno solo in questi anni, dal centro alle periferie, nella convinzione che gli enti più “vicini” ai cittadini sapessero cosa era meglio per la realtà dei territori.

IL TITOLO V COME DOVREBBE CAMBIARE

Il ddl Boschi va in senso contrario e ridà allo Stato il potere di decidere su alcune materie. Il primo cambiamento della riforma però riguarda le Province che vengono eliminate anche dal testo della Costituzione. Il nuovo articolo 114 dovrebbe recitare: “La Repubblica è costituita dai Comuni, dalle Città metropolitane, dalle Regioni e dallo Stato. I Comuni, le Città metropolitane e le Regioni sono enti autonomi con propri statuti, poteri e funzioni secondo i princìpi fissati dalla Costituzione“.

Il punto centrale è però la nuova divisone delle competenze. La riforma rimette al centro lo Stato che si riprende molte competenze lasciate in questi anni alle Regioni. Il testo chiarisce si cosa legifera il governo centrale, lasciando agli enti locali le altre materie. Nel dettaglio, Roma torna ad avere competenza esclusiva su: ambiente; gestione di porti e aeroporti; trasporti e navigazione; produzione e distribuzione dell’energia; politiche per l’occupazione; sicurezza sul lavoro, ordinamento delle professioni.

Inoltre, lo Stato può far valere la clausola di supremazia (di cui avevamo parlato qui) e farsi carico delle materie su cui legiferano le Regioni se è in gioco l’interesse nazionale.

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