Quagliarella e lo stalker: il giocatore in lacrime racconta l’incubo (VIDEO)

Quagliarella Sky

Per cinque anni è stato vittima di uno stalker, un poliziotto della Postale di Napoli – Raffaele Piccolo – che ora è stato condannato a quattro anni e otto mesi da un giudice. Fabio Quagliarella ha finalmente potuto raccontare la sua storia completa, il perché ha lasciato Napoli e il Napoli, la tristezza e la rabbia per non poter dire per tanti anni i veri motivi che lo avevano spinto ad accettare il trasferimento alla Juventus. Sentirsi dare del ‘traditore’ non è stato facile.

Contro il Cagliari, l’attaccante della Sampdoria ha segnato, poi davanti alle telecamere e ai microfoni ha pianto. “Ho vissuto cinque anni d’inferno. Questa è la fine di un incubo, ora sono sereno”. Lettere diffamatorie che hanno iniziato ad arrivare nel 2007, fino al 2010, e che sono costate a Quagliarella l’addio al Napoli: “Quando sono andato via, sono state dette tante infamità e cattiverie non vere, l’unica causa era questa. Dopo tanti anni, finalmente, è finita e ringrazio la giustizia, condannare un poliziotto significa avere ragione. E’ stata una brutta storia che io e la mia famiglia abbiamo vissuto male. Abbiamo sofferto molto”.

[veedioplatform code=”098f0f27db362c919f25587c3659d39b”]

Lo stalker iniziò a mandare lettere anonime al presidente del Napoli, Aurelio De Laurentiis, accusando Quagliarella di partecipare a festini a base di droga, in compagnia di esponenti della camorra, e di avere rapporti sessuali con ragazzine. Lui stesso si offrì di aiutare il calciatore a cercare il responsabile della persecuzione. “Mi disse che poteva aiutarmi, ma di non parlare con nessuno. Scrisse per me delle querele che non sono mai state presentate. La vera querela l’ho fatta io, nel 2010, quando ho cominciato a capire che succedeva”.

A quel punto, i rapporti con De Laurentiis si erano ormai deteriorati irrimediabilmente. “All’inizio, quando le lettere arrivarono alla sede del Napoli, a Castelvolturno, il presidente mi disse di andare a vivere in albergo per stare più tranquillo. Prima mi chiamava ogni giorno, poi non mi ha più telefonato e mi ha mandato via”. Finalmente, è arrivata la sentenza di primo grado: “Quando non puoi dire la tua, non puoi parlare perché ci sono le indagini in corso e senti tutti che dicono la loro opinione, ti giudicano e no sanno. Non auguro a nessuno di subire una cosa simile. E’ stata minacciata la mia famiglia. Come professionista ho cercato di stare sul pezzo, ma non è stato facile”.

Impostazioni privacy