ONU condanna Israele per le colonie grazie ad astenzione USA. E Netanyahu si vendica così

New York, Obama incontra Netanyahu

La storica decisione segna l’ultimo atto di Barack Obama a meno di un mese dalla fine del suo mandato. La sua amministrazione ha infatti deciso di astenersi dal voto sulla risoluzione del Consiglio di sicurezza dell’Onu in cui si chiede l’interruzione degli insediamenti ebraici in territorio palestinese, ignorando le direttive del presidente eletto Donald Trump che nei giorni scorsi aveva in tutti i modi cercato di fermare la votazione, su richiesta pressante di Israele. Gli Stati Uniti hanno dunque rinunciato a porre il veto in un testo che condanna fortemente le politiche espansionistiche di Israele in Cisgiordania: con l’astensione di Washington, il documento è stato approvato dai 14 su 15 membri del Consiglio. Il presidente israeliano Netanyahu non ha preso bene la decisione, tanto che ha già messo in atto parte della sua ‘vendetta’.

L’approvazione della risoluzione 2334 senza il voto Usa ha posto fine a quasi due giorni di frenetica attività diplomatica da parte di Israele. Il tutto è iniziato nella notte di mercoledì scorso, quando l’Egitto ha chiesto al Consiglio di sicurezza di votare, il giorno successivo, un testo preparato in tre mesi di consultazioni con altri Paesi arabi. Molti Paesi hanno sottolineato il carattere storico della risoluzione, una sensazione confermata dall’entusiasmo seguito all’approvazione in un’aula in cui, di norma, è vietato applaudire.

LA RISOLUZIONE
Il testo pretende che Israele cessi la sua politica di insediamenti nei territori palestinesi, inclusa Gerusalemme est, e insiste sul fatto che la soluzione del conflitto in Medioriente passi per la creazione di uno Stato palestinese che conviva insieme a Israele. Questa via, tuttavia, si legge nel testo, è posta in pericolo dall’espansione delle colonie, che stanno arrivando a una “realtà di Stato”. Secondo la risoluzione, gli insediamenti “costituiscono una flagrante violazione del diritto internazionale e un grande ostacolo per costruire la soluzione dei due stati, così come una pace giusta, duratura e completa”. Inoltre, il Consiglio ribadisce che non riconoscerà alcuna modifica alle linee tracciate nel 1967 salvo diverso accordo tra le due parti attraverso i negoziati. Così, condanna “tutte le misure volte ad alterare la composizione demografica, il carattere e lo stato del territorio palestinese occupato dal 1967, compresa Gerusalemme Est, in cui accadono confische e demolizioni di case palestinesi. Allo stesso tempo, il massimo organo decisionale dell’Onu chiede misure per prevenire “tutti gli atti di violenza contro i civili, inclusi atti di terrorismo, così come tutti gli atti di provocazione e distruzione” e condanna l’incitamento all’odio.

LE PRESSIONI DI ISRAELE SU TRUMP E EGITTO
Israele ha invocato l’intervento degli Stati Uniti, storici alleati, affinché ponessero il veto per fermare il testo di condanna. Poi Netanyahu ha chiesto direttamente a Trump di fare qualcosa, anche perché è noto che il nuovo presidente Usa è allineato alla destra israeliana per tutto quello che riguarda il conflitto in Medioriente. Senza attendere di assumere ufficialmente la presidenza statunitense, che avverrà come sappiamo il 20 gennaio prossimo, Trump ha provato in tutti i modi a far prevalere la posizione favorevole a Israele. Il magnate ha quindi fatto pressioni sul governo egiziano e, dopo una conversazione telefonica con il presidente Abdel Fatah al Sisi, è riuscito a fare in modo che il documento venisse ritirato: l’Egitto ha infatti chiesto di rinviare il voto.

LA MOSSA DI VENEZUELA, NUOVA ZELANDA, MALESIA e SENEGAL
Ma questo non è bastato, quattro membri permanenti del Consiglio di sicurezza (Venezuela, Nuova Zelanda, Malesia e Senegal) hanno ripresentato il documento imponendo la votazione del 23 dicembre. Secondo fonti diplomatiche, gli Stati Uniti si sono mostrati in privato disposti a permettere l’approvazione della risoluzione. La mossa diventa così una storica eredità lasciata da Obama, che negli ultimi mesi aveva indurito il tono contro la costruzione di colonie nel mezzo di un rapporto già teso con il premier israeliano Benjamin Netanyahu.

ISRAELE BATTE I PIEDI E IGNORA LA RISOLUZIONE
Dopo il voto, Israele ha già fatto sapere che non intende rispettare la risoluzione. “Israele rifiuta questa risoluzione vergognosa e anti-israeliana dell’Onu e non rispetterà i suoi termini”, ha dichiarato il premier Netanyahu, accusando l’amministrazione Obama di aver ordito le trame della decisione. Dal canto suo Washington ha difeso la propria posizione spiegando che la risoluzione non fa altro che ribadire una posizione che mantiene da tempo e condivisa da quasi la totalità della comunità internazionale. “Gli Stati Uniti hanno inviato sia privatamente che pubblicamente per quasi cinque decenni il messaggio che le colonie devono cessare di esistere“, ha spiegato l’ambasciatrice Usa all’Onu, Samantha Power che ha aggiunto: “Non si può simultaneamente difendere l’espansione degli insediamenti e difendere la soluzione praticabile dei due Stati per arrivare alla fine del conflitto. Si doveva fare una scelta tra colonie e separazione”. La risoluzione è la prima adottata dal Consiglio di Sicurezza sul conflitto israelo-palestinese dal 2009 e arriva in un momento in cui il processo di pace sembra completamente bloccato. Dopo lunghe trattative, la sua approvazione è stata accelerata dall’avanzamento del progetto di legge nel Parlamento israeliano che intende legalizzare in modo retroattivo le colonie ebraiche in Cisgiordania.

LA VENDETTA DI BENJAMIN NETANYAHU
In risposta alla risoluzione adottata dal Consiglio di sicurezza dell’Onu contro le colonie ebraiche nei territori palestinesi, Israele non è rimasta a guardare e ha richiamato i suoi ambasciatori in Nuova Zelanda e Senegal, sospendendo la visita del ministro degli Esteri senegalese. Secondo fonti del governo israeliano, il premier Benjamín Netanyahu ha ordinato anche la sospensione di tutti gli aiuti umanitari e della cooperazione con il Senegal, proprio per ”punire” il paese africano che, insieme a Venezuela, Nuova Zelanda e Malesia è artefice del testo approvato dall’Onu in cui si chiede la sospensione di tutti gli insediamenti in Cisgiordania. La visita del capo della diplomazia senegalese, Mankeur Ndiaye, era prevista per gennaio.

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