Non lasciare solo il Procuratore Colangelo: condividi l’hashtag #AncheIoSonoGiovanni

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Era il 21 giugno del 1989 quando gli agenti di scorta di Giovanni Falcone trovarono, su di uno spiaggia antistante la casa al mare che aveva affittato per qualche giorno di relax, 8 cartucce di esplosivo, di tipo Brixia B5, all’interno di un borsone sportivo accanto ad una muta subacquea e delle pinne abbandonate. L’opinione pubblica, in parte scioccata da quanto era successo, si lasciò però condizionare da quello che scrissero molti giornali e che lasciarono intendere ancora più politici: «Fu lo stesso Falcone a organizzare il tutto per farsi pubblicità». Sappiamo tutti, il 23 maggio del 1992 (soltanto tre anni quell’attentato, fortunatamente, fallito) come andò a finire.

Il 9 maggio 2016, nell’anniversario della morte di Peppino Impastato, è stata diffusa la notizia che un collaboratore di giustizia, originario di Secondigliano ma legato alla criminalità organizzata pugliese, ha rivelato al PM Antimafia barese Roberto Rossi che la camorra avrebbe avuto un piano per colpire il Procuratore di Napoli, Giovanni Colangelo, che da quattro anni guida i magistrati che hanno inferto un duro colpo alla criminalità organizzata partenopea.

L’11 maggio, soltanto due giorni dopo, viene comunicato alla stampa che il 29 aprile erano effettivamente stati sequestrati 550 grammi di esplosivo letale, nascosto sotto un albero, di fronte al cancello della tenuta di Gioia del Colle (Bari) del trafficante di armi Amilcare Monti Condesnitt, destinati proprio a Colangelo.

Secondo le rivelazioni del collaboratore di giustizia, l’attentato ai danni di Colangelo sarebbe dovuto avvenire proprio a Gioia del Colle, dove il Procuratore di Napoli abita. Il clan avrebbe, infatti, studiato a lungo gli spostamenti di Colangelo fra la Puglia e la Campania.

Fortunatamente ora Amilcare Monti Condesnitt è in carcere, proprio per questa vicenda, insieme ad altre quattro persone. Questo, però, non vuol dire che il pericolo per il Procuratore Colangelo sia cessato, anzi! La situazione napoletana, con la guerra in corso fra la paranza dei bambini e i pochi boss rimasti ancora in libertà (LEGGI QUI LA NOSTRA INCHIESTA), è sempre più grave ed allarmante e la Magistratura, coordinata proprio da Colangelo, sta fronteggiando la faida in modo deciso e determinato, arrivando anche all’arresto di molti personaggi di spicco della nuova camorra.

Proprio questo potrebbe attirare, nuovamente, sul Procuratore Colangelo l’ira dei clan e quindi la loro intenzione di fermarlo, ad ogni costo. Ma noi dobbiamo evitarlo! Se non siamo riusciti a salvare Giovanni Falcone, dobbiamo – davvero ad ogni costo – riuscire a salvare l’altro Giovanni: Colangelo.

Come cittadini, dobbiamo pretendere che lo Stato, la politica, il Governo lo proteggano nel modo più adeguato e capillare possibile, dobbiamo vigilare sul fatto che sostengano le sue inchieste e il suo lavoro, senza mai lasciarlo solo come invece fu fatto per Falcone.

Come persone dobbiamo sostenere il Procuratore Colangelo, anche moralmente, e la sua famiglia che ora entrerà nell’incubo di sapere che era già stato preparato il tritolo per uccidere il proprio marito, il proprio figlio, il proprio padre.

Come lettori possiamo, per una volta, usare i social in modo diverso, intelligente, impegnato e sfruttare questi mezzi per esprimere la nostra solidarietà al Procuratore Colangelo e alla sua famiglia, ma anche per dire alla camorra che noi stiamo dalla parte dei buoni, perché tutti noi dovremmo essere (o almeno voler essere) come era Giovanni Falcone e com’è Giovanni Colangelo.

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