Musei aperti di notte, il Ministero chiede agli artisti di lavorare a spese loro

Se volete vedere come è semplice rovinare un’ottima iniziativa con una semplice parola, chiedete al ministro dei Beni e Attività Culturali Dario Franceschini. Dopo aver festeggiato l’approvazione del decreto Cultura 2014 in legge, il ministro incappa nell’ira del mondo artistico dopo la pubblicazione del bando “Notti al Museo”, in cui chiede agli artisti di lavorare gratis e a loro spese. Niente remunerazione e, a carico degli artisti, Siae e assicurazione: insomma l’ennesima dimostrazione che in Italia con la cultura e l’arte non si mangia.

La notizia ha fatto il giro del web, scatenando le giuste ira degli artisti nostrani e portando alla cancellazione del bando dal sito del ministero. La rete però non perdona e il bando è facilmente recuperabile. Leggendo le pagine del documento, si rimane sconcertati due volte. Andiamo con ordine.

L’iniziativa di partenza è più che ammirevole: in occasione dell’apertura serale dei musei, il Mibac ha aperto un bando diretto a “persone giuridiche o persone fisiche, singole o associate (come ad esempio associazioni culturali, singoli artisti o complessi), per la realizzazione di eventi culturali (come ad esempio musica, teatro, danza, letteratura), da tenersi ogni venerdì del mese, a partire dal 1 luglio 2014, nella fascia oraria compresa tra le ore 20 e le ore 22, presso gli istituti e luoghi della cultura”.

Tutto bello, anche perché lo scopo è duplice: “promuovere la creatività italiana in alcuni dei luoghi della cultura statali più significativi” e “potenziare l’offerta in occasione delle aperture notturne e ad attrarre, di conseguenza, un numero più ampio di visitatori attraverso altre espressioni d’arte”.

In Italia si crede nella cultura, vien quasi da urlare di gioia, fino a quando non si arriva al punto 6. “I promotori delle proposte selezionate saranno chiamati a sottoscrivere un accordo di collaborazione a titolo gratuito con la Soprintendenza interessata”. Non bastasse, ci sono anche le clausole: “il proponente dichiara di essere in possesso di adeguata polizza assicurativa di responsabilità civile per danni a persone e cose, esibendone copia a richiesta dell’Amministrazione”; “il proponente si impegna ad osservare tutte le norme che disciplinano la realizzazione di eventi, attività culturali, spettacoli da svolgersi in luogo in pubblico e/o aperto al pubblico”. Detto in poche parole: oltre a lavorare gratis, si deve avere una propria assicurazione e assolvere agli obblighi Siae.

Tra i tanti che si sono indignati, c’è Michele Spellucci, violoncellista diplomato al Conservatorio di Milano e specializzato a Vienna, ha scritto al ministro Dario Franceschini e al direttore generale Anna Maria Buzzi una lettera aperta dal suo profilo Facebook. “Passi che i tempi sono bui per tutti […] Passi che da anni ormai ho deciso di mantenermi con un altro impiego e di dedicare tutto il mio tempo libero alla diffusione culturale a titolo completamente gratuito. Ora però da cittadino onesto, che vanta il regolare pagamento delle tasse, mi aspetterei che fosse il Vostro Ministero a cominciare ad investire in questa benedetta cultura”. La lettera ha avuto grandissima eco e per tutta risposta il ministero ha tolto il bando, come ricorda il musicista sempre da Fb.

L’episodio è doppiamente grave ed è la perfetta fotografia del mondo del lavoro italiano, dove aumentano le proposte di lavoro gratuito, ma che garantiscono “visibilità” ed “esperienza”, come se le bollette, l’affitto o la spesa si pagassero a suon di “visibilità” o “esperienza”. Non solo: a chiedere agli artisti di lavorare gratis è il ministero dei Beni Culturali, il massimo organo istituzionale che dovrebbe promuovere e proteggere l’arte e la cultura. Inutile dire che “in Italia con la cultura si mangia” se lo stesso ministero non paga chi fa e promuove arte. A tutti questi signori, urge ricordare una cosa: il lavoro gratuito non esiste, quella è schiavitù.

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