Malerba vince il premio Sciascia: può un ex mafioso scrivere di mafia? Intervista al coautore

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Può un ex mafioso scrivere di mafia? E può una giuria riconoscergli un premio letterario? Di sicuro un ex mafioso di mafia ne sa e quindi sarebbe quasi scontato rispondere: «Bé chi è più titolato di lui?». Il punto, allora, è come ne scrive: farà un panegirico del crimine o invece userà la sua testimonianza per evitare che altri commettano i sui stessi errori? Questo, però, dipende da chi è diventato oggi che ha dismesso i panni del killer per indoassare quelli dello scrittore. Chi è diventato oggi Giuseppe Grassonelli lo si evince con chiarezza dalle pagine di “Malerba”, il libro autobiografico scritto a quattro mani con il giornalista Carmelo Sardo.

Un romanzo che ha suscitato non poche polemiche, soprattutto perché ha vinto il premio letterario “Racalmare – Leonardo Sciascia”, della città di Grotte, superando anche “È così lieve il tuo bacio sulla fronte” di Caterina Chinnici, figlia del magistrato Rocco ucciso dalla mafia nel 1983. Noi abbiamo deciso di farci raccontare in anteprima chi è oggi Grassonelli da Carmelo Sardo, il giornalista che ha voluto aiutarlo a raccontare la sua storia.

Com’è nata l’idea di realizzare questo libro?

«La sorella di Giuseppe Grassonelli mi contattò per farmi leggere un manoscritto che Giuseppe Grassonelli aveva scritto in carcere. Subito le chiesi come mai avesse scelto proprio me e mi raccontò che, all’epoca dei fatti narrati in “Malerba”, ogni volta che tornava a casa dopo un omicidio, il fratello accendeva la televisione su “Teleacras”, una tv privata di Agrigento – dove si svolsero i fatti- per vedere il relativo servizio del telegiornale. Spesso quei servizi erano miei e lui attraverso quelle mie cronache si documentava e mi considerava il suo “agente segreto”, benché io ne fossi completamente ignaro.

Incuriosito, decisi quindi di farmi mandare quell’elaborato per leggerlo. Raccontava tutta la sua storia criminale e chiaramente era molto potente, ma non suscitò subito il mio entusiasmo. Dopo averlo incontrato in carcere e avere avuto modo di verificare personalmente che si trattava di un uomo completamente rieducato, decisi di realizzare un una video-intervista da mandare in onda su “Canale5”, in un approfondimento del telegiornale.

Quel servizio venne visto anche dalla mia editor di “Mondadori” affascinata da quel racconto. Scrissi così un libro-intervista per raccontare la mia esperienza in carcere con lui. “Mondadori” ha però preferito affidarmi la miscela dei due testi ed è così che è nato “Malerba”, dall’unione fra il manoscritto di Giuseppe Grassonelli che ripercorre la sua vita criminale e la mia intervista che racconta che uomo è diventato oggi.»

Chi è oggi Giuseppe Grassonelli?

«Giuseppe è innanzitutto un uomo recuperato. Un uomo che, dopo essere stato arrestato e condannato all’ergastolo ostativo, ha avuto modo di leggere, di studiare e quindi riflettere sul suo passato. Così è diventato un uomo nuovo, completamente diverso da quello che era un tempo.

Lo Stato potrebbe addirittura fregiarsi del recupero di Giuseppe, così come di molti altri casi in cui lo scopo rieducativo del carcere ha effettivamente avuto successo. Non voler vedere questo recupero e continuare a ritenere Grassonelli e chi come lui si recupera soltanto degli ex criminali, vuol dire anche sbattere la porta in faccia a tutti gli assistenti sociali, agli psicologi e ai docenti che lavorano nelle carceri.»

Lei, quindi, ritiene possibile il recupero anche di criminali spietati come è stato Grassonelli?

«La nostra Costituzione lo ritiene possibile, anzi prescrive che il carcere abbia sempre come finalità il recupero del detenuto. Giuseppe, peraltro, è il primo a riconoscere di dover pagare per gli errori che ha commesso in passato, solo chiede di essere valutato per quello che è oggi.

Che senso ha rieducare un criminale se poi lo si lascia in carcere senza nessuna speranza di reinserimento sociale, nemmeno quella di poter dal carcere raccontare il proprio cambiamento in un libro?»

E la giustizia per le vittime?

«Per le vittime bisogna avere massimo rispetto, ma è opportuno stabilire bene la definizione di questo termine. Vittime di mafia sono di sicuro tutti coloro che sono stati uccisi dalla mafia: sia quelle che sono morte per mano di Grassonelli, sia quelle che sono state uccise da Cosa Nostra perché familiari o amici di Grassonelli.

Io ricordo che, all’epoca delle guerra di mafia, quando arrivavo sul posto di un omicidio sentivo sempre gli inquirenti dire “uno in meno” , quando si accertava che la vittima fosse un mafioso, un killer. In Sicilia per anni si è creduto nell’equazione secondo cui i mafiosi si ammazzano fra di loro e quindi più si ammazzano, meno ce ne sono. »

Se Grassonelli è così cambiato perché non ha mai voluto collaborare con la giustizia?

«Giuseppe non ha mai voluto pentirsi innanzitutto perché non aveva informazioni da poter fornire ai magistrati: lui combatteva contro Cosa Nostra e quindi al massimo potrebbe dire chi faceva parte del suo stesso gruppo di fuoco. La maggior parte di loro, però, sono stati arrestati prima di lui e, anche qualora dovesse restarne qualcuno ancora libero, Giuseppe dice di sentirsi “l’unico responsabile dei crimini che ha commesso”.

Così si definisce un “collaboratore di giustizia sociale” e vorrebbe che questo libro venga visto proprio come il suo contributo allo Stato.»

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