La Tartaruga Rossa: recensione di un film d’animazione che piacerà a pochi

La Tartaruga Rossa

Una favola? No, assolutamente. Forse, è una speranza? No, fidati nemmeno questo. E allora cosa comunica la Tartaruga Rossa? La vita giovanotto, la vita, con tutte le sue imperfezioni. La vita nelle sue gioie e nelle sofferenze più vere: la nascita, la crescita, lo sviluppo e l’addio. E chi lo dovrebbe vedere? Tutti. Dovrebbero amarlo tutti ma non sarà così, come spesso accade.

Quando mi trovo a raccontare o a spiegare qualche film d’animazione la prima domanda che le persone che mi ascoltano mi fanno è “ma è della Disney ?” e dopo il mio no, classico ormai, mi dicono “ma almeno è americano?” e non capisco questo affronto al mondo orientale, così, a priori. Forse è vero. Nell’immaginario collettivo i cartoni animati giapponesi, i cosiddetti Anime, sono Ken Shiro, Holly e Benji, Doreamon, i robottoni stile Gundam eccettera, eccetera ma quelli sono prodotti seriali, non film. Se parliamo di film d’animazione e leghiamo questi prodotti al Giappone non può che uscire dalla mia bocca una sola casa di produzione, lo Studio Ghibli.

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Qualche anno fa ricordo di essermi emozionato per Si Alza il Vento. Un prodotto magico, un prodotto unico, forse. Ma ogni volta che siamo di fronte allo Studio Ghibli parliamo di lavori incredibili come La Principessa Mononoke, La città incantata, Il Castello errante di Howl, Porco Rosso. Mamma mia quando è bello Porco Rosso. A proposito, prepariamoci tutti perché il maestro Hayao Miyazaki è al lavoro su un altro lungometraggio. Aveva detto che si sarebbe ritirato, che era stanco, stufo, non aveva più energie e stimoli e che il suo ultimo lavoro sarebbe stato proprio Si alza il Vento e invece sta per tornare. Teniamoci stretti, per mano.

Ma torniamo alla Tartaruga Rossa: ieri sera ho visto il film prodotto da Wild Bunch e Studio Ghibli. Un racconto delle fasi della vita raccontate in 80 minuti di silenzio. Non se siamo davvero davanti a un capolavoro ma diciamo pure che anche se fosse nessuno ne darebbe davvero atto dei meriti di questo prodotto. Perché come dicevo nell’analisi qui sopra siamo troppo americanizzati e se un lavoro non è stato fatto negli o dagli Stati Uniti arricciamo subito il naso perché siamo legati a noi stessi, a quello che in un modo o nell’altro è la normalità.

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La Tartaruga Rossa è un film d’animazione atipico. Non portate i vostri figli, piccoli, a vederlo, alla fine dell’ora e venti vi odieranno. Nessuno escluso. È difficile per un bambino o per un ragazzo apprezzare a pieno La Tartaruga Rossa. Come dicevo parla della vita. La trama è semplice: il mare in tempesta colpisce l’imbarcazione di un uomo, il nostro protagonista, che naufraga su un’isola deserta. Con il passare del tempo cercherà di conoscere meglio la terra che lo ospita ma decide di tentare di scappare dall’isola che lo ha accolto. Ci prova svariate volte ma non ci riesce, c’è sempre una forza che lo ostacola, è una Tartaruga Rossa che diventerà qualcosa di inaspettato.

L’animale sboccia dall’odio dell’uomo creando l’amore che aspettava. La vita va avanti e l’uomo ha trovato quello che cercava, una casa. Perché dove c’è famiglia c’è casa. Ma il primo lungometraggio diretto da Michaël Dudok de Wit e co-prodotto dallo Studio Ghibli, è un film che va dritto al petto o meglio alla pancia. È un prodotto difficile e intenso. Non sappiamo nemmeno davvero chi sia questo naufrago, nessun richiamo al passato, nessuna parola (il film è completamente muto se non per qualche verso, qualche risate, qualche grido tipo “Ehiiii” ma niente di più). Una scelta stilistica davvero coraggiosa che ha pagato nei minimi particolari.

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La regia è qualcosa di incantevole. Sempre pulita, chiara mai esagerata e mai banale. Cristallina. La tecnica per gli ambienti è quella che mi ha colpito maggiormente infatti sono stati disegnati tutti su carta a carboncino. Questo aspetto artigianale rende il film ancora più emozionante. Mentre la zattera e le tartarughe, ad esempio, sono state animate in digitale separatamente.

Nota di merito, come se non bastasse, alla colonna sonora. Sempre candida, pura. Anche in questo senso è stato fatto un lavoro enorme, di ricerca soprattutto. Perché senza dialoghi era facile fare qualcosa di mal riuscito, qualcosa di dannoso per il lungometraggio e invece è stato tutto costruito benissimo. Filosofia e magia, questi sono stati gli aiuti, soprattutto, dello Studio giapponese.

Ci sono voluti dieci anni per realizzare questo prodotto. La mano dello studio nipponico si sente ma le idee del regista e della produzione di Wild Bunch era chiara sin dall’inizio e la sinergia ha funzionato al meglio. La Tartaruga Rossa è un piccolo capolavoro, impacchettato divinamente che merita tutte le attenzioni della stampa e degli addetti ai lavori. Tutti dovrebbero vederlo e amarlo perché racconta la vita e tutto ciò che ne comporta. Il lungometraggio co-prodotto dallo Studio Ghibli lo troverete nei cinema il 27, 28, 29 marzo. Correte a vederlo, non ricapiterà per molto tempo di vedere una cosa del genere.

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