Incentivi sulle rinnovabili: a chi darli? Investiamo sulle famiglie

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Abbiamo scoperto che abbiamo una rete di approvvigionamento dalle fonti di gas fossile che a monte potrebbe presentare qualche criticità, sia da est che dall’altra sponda del Mediterraneo, a causa della instabilità politica e sociale di quelle aree. Mentre crescono le polemiche sugli incentivi alle rinnovabili, che vengono messi sul banco degli accusati per il differenziale di costo delle bollette che pagano gli italiani rispetto alla media europea e ritenuti responsabili del pesante impatto sul paesaggio: chilometri quadrati di territorio agricolo sacrificato ai campi fotovoltaici, o i crinali dei monti appesantiti dalla teoria infinita delle pale eoliche, impiantate talvolta con un criterio meramente produttivo, come se la bellezza del paesaggio non fosse un valore assoluto, da immettere nel software complessivo delle valutazioni di quegli investimenti, corollario improprio di un teorema secondo il quale di cultura non si mangia. Nel frattempo quello spettro del punto di non ritorno dei cambiamenti climatici, mano a mano, viene stimato sempre più prossimo. Le ultime stime rese note lo danno al 2030. Domani, praticamente.

Dopo di ché nulla potrebbe essere più come prima. Intanto la costa est degli Stati Uniti ha passato la peggiore tempesta di neve che si possa ricordare, qualche settimana fa le aree già sconvolte dalla guerra dei Balcani hanno conosciuto la più impressionante alluvione di sempre. E gli anziani montanari avvezzi a conoscere ogni centimetro quadrato delle loro montagne, di fronte alle frane dei costoni alpini, eredi di una sapienza antica, radicata, dicono che è normale che questo avvenga perché il ghiaccio non consolida più quella terra mista a roccia, a sassi. E intanto se ne vanno i ghiacciai alpini, e se ne vanno le calotte polari. E quello sforzo di investire nelle rinnovabili, nel sole e nel vento, in Italia sembra essersi trasformato da soluzione a problema.

Può esistere una via d’uscita? Ne viene in mente una, proviamo a lavorarci.
Ipotizzo. Ma se favorissi la diffusione incentivata delle rinnovabili nella microscala, a livello di singola famiglia, di singola abitazione, di singolo insediamento produttivo, affidando incentivi ed agevolazioni fiscali ai singoli soggetti oltre che ai soggetti economici specifici attivi nel campo della produzione industriale di energie rinnovabili, o differenziando l’entità di incentivi ed agevolazioni a favore delle famiglie e delle imprese artigiane? Ovvero, se tu famiglia decidi di raggiungere l’autonomia energetica attraverso una tecnica che sfrutti il geotermico, il fotovoltaico, il microeolico, o una combinazione integrata ed efficace di queste, io Stato ti finanzio questo passaggio, interamente. Se tu impresa artigiana, piccola industria decidi di dare una mano alla sfida di rimettere in piedi questa residua speranza di salvare quel che resta da salvare del clima del pianeta io ti do una mano, mettendoti a disposizione le risorse, tutte le risorse, per renderti autonomo dal punto di vista energetico.

I successi della Legge Sabatini sugli incentivi alle aziende che hanno fatto innovazione sono evidenti ed innegabili, basterebbe estendere quel tipo di benefici anche agli investimenti sulle rinnovabili. Ed estendere quel meccanismo alle famiglie. Potremmo partire dagli alloggi in costruzione, implementando e non riducendo le varie forme di promozione come gli sgravi fiscali, o sugli alloggi da costruire, individuando ad esempio quelli che potrebbero essere destinati alle giovani coppie, per le quali la casa sta diventando una categoria mentale astratta e disperante: lavoro precario, prospettive del tutto aleatorie, un futuro a perdere. Si definisce una categoria di alloggio di certe caratteristiche, e se chi li costruisce, soggetto pubblico o imprenditoriale privato che sia, li rende autonomi energeticamente applicando le tecniche usuali per questo tipo di obbiettivo, viene interamente finanziato per la parte che riguarda questo sforzo di autonomizzazione.

Sicché entri in casa e sei affrancato dal peso delle bollette energetiche, ti ritrovi in tasca un bonus che a quel punto non è più neanche finanziario, ma è un bonus di felicità, hai la sensazione che qualcuno ti stia vicino, bimestre dopo bimestre avendoti sgravato a monte della bolletta energetica, aiutandoti così ad onorare le rate di mutuo.

In Scozia, a partire da questo mese di giugno, chi vorrà dare alla propria abitazione un volto più green sarà aiutato dal Governo, che ha deciso di presentare un nuovo fondo dedicato alle ristrutturazioni energetiche. I cittadini potranno chiedere un rimborso fino a 7300 sterline se hanno in progetto di aumentare l’efficienza energetica della propria abitazione. In totale il Green Homes Cashback scheme mette a disposizione ben 15 milioni di sterline che saranno disponibili da giugno e che è stato paragonato al Green Deal Home Improvement Fund (GDHIF), lanciato in Inghilterra e Galles e grazie al quale le famiglie potranno anche richiedere un contributo pari al 75% in caso di lavori per la realizzazione di interventi tesi all’efficientamento ed alla produzione di energie rinnovabili.
Il secondo obbiettivo sarebbe quello di mettere direttamente nelle mani degli utenti finali le risorse per le rinnovabili messe a bilancio dallo Stato e dalla Regione, collaborando a restituire chiarezza e credibilità ai meccanismi di incentivazione oggi egemonizzati da un circuito piuttosto esclusivo e non sempre limpidissimo.

Lo skyline urbano subirebbe modifiche, si potrebbe obbiettare.
Tutti questi microimpianti sui tetti, sulle terrazze. Ma figuriamoci.

Ma questo skyline è mutato tante volte nel corso della storia della città. E’ cambiato quando si è generalizzato l’uso del fuoco nei singoli alloggi, e sono spuntati i comignoli, è cambiato negli anni cinquanta, quando sono spuntate le antenne della rete televisiva, è ancora mutato in anni più recenti, quando hanno cominciato a fiorire sui tetti le parabole satellitari, e gli impianti di generazione dell’acqua calda sanitaria. Lo sforzo verso la cosiddetta “integrazione totale” di queste fattispecie tecniche nel contesto dell’architettura dovrà servire anche, o forse soprattutto a questo: a trovare un punto di equilibrio formale tra l’imago urbis, la forma della città, e gli elementi di un suo nuovo metabolismo che abbia la sostanza e la fattispecie della logicità, della sostenibilità, e perché no, della bellezza. Di una bellezza nuova, certamente. Ma quante volte ci siamo trovati al capolinea di una epoca nuova, come architetti, e non abbiamo esitato a rinunciare alle certezze rinascimentali per affrontare l’ambiguità dell’ellisse: un cerchio con due centri, roba da mal di stomaco, dopo che ci eravamo incantati della perfezione assoluta della Cupola michelangiolesca.

E poi tutto daccapo con il neoclassico, e daccapo di nuovo con le intuizioni di Gropius, e di Wright, e di Le Corbusier, e di Liebeskind e via via ancora fino a questi giorni. O forse il cielo di oggi sopra Pechino, impietoso e disamico come mai lo è stato il cielo sopra una città potrà mai essere frettolosamente perdonato come effetto collaterale di questo sforzo di avere energia e prodotto interno lordo a costo facile?
Le immagini di quei bambini costretti a girare per strada con le mascherine verdi potremo mai dimenticarle? O possiamo ignorare i recenti allarmi degli scienziati che hanno rilevato che su ampie aree del pianeta la densità di particelle inquinanti nell’aria inibisce il processo di fotosintesi delle foreste e che di conseguenza la rigenerazione di ossigeno attivata dagli alberi comincia a fare difetto? Ulteriore obbiettivo sarebbe naturalmente quello di istituire un circuito virtuoso che faccia da traino ad un generale rinnovamento delle tecniche costruttive in cui il nostro paese accusa un colpevole ritardo, si pensi solo al fatto che negli ultimi mesi in Danimarca sono stati messi fuori legge tutti i sistemi di riscaldamento da fonti fossili,e quindi, per esempio, non si possono più installare le caldaie a gas. E la Svizzera ha messo fuori legge anche l’importazione di energia elettrica prodotta da centrali che utilizzano carbone, gasolio o gas.

Il che porterebbe ad un generale rinnovamento delle tecniche costruttive portando linfa nel comparto dell’edilizia, azzoppato negli ultimi anni da una tempesta perfetta fatta di difficoltà nel reperimento dei mutui, incertezze diverse, crisi. Gli esempi recenti di edifici che hanno raggiunto l’autonomia energetica hanno potuto contare sullo sforzo portato avanti dalle industrie attive nel campo delle rinnovabili, grandi soggetti e piccole realtà che con applicazione, coraggio, talvolta con eroismo vero e proprio mettono oggi a disposizione impianti di geotermia a bassa entalpia, fotovoltaico di ultima generazione, sistemi di raffrescamento naturale ispirati dalle case campidanesi ed ancor più a monte dalle termiti, sistemi di depurazione e di riutilizzo delle acque attraverso lo sfruttamento della fitodepurazione o dei piccoli sistemi di biomassa, la realizzazione di serre bioclimatiche attive. L’applicazione, eventualmente combinata di questi sistemi, è compatibile con gli attuali sistemi di costruzione, ai quali siamo avvezzi, ed ai costi di costruzione cui siamo abituati. Resta l’ultimo tratto di strada da fare, favorirne, incentivarne l’applicazione pratica.

E’ una sfida per tutti, per chi ha la responsabilità del disegno, del progetto, per chi ha la responsabilità della Politica, per chi ha la responsabilità del cantiere. Perché questi traguardi siano finalmente alla portata di tutti. Ford diceva che le invenzioni, il progresso tecnologico diventa avanzamento sociale quando è alla portata di tutti. La sfida vera è questa.

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