Immigrazione, l’UE apre la procedura d’infrazione contro l’Italia: ‘Non registra tutti’

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Alla fine è arrivato quanto temuto da giorni. La Commissione Europea ha aperto una procedura d’infrazione contro l’Italia per l’accusa di aver violato le regole comunitarie in tema di immigrazione. Nello specifico, l’UE accusa il nostro Paese di non aver registrato accuratamente tutti i migranti sbarcati sulle coste. La messa in mora è stata formalizzata, secondo quanto risulta a La Stampa, anche per Croazia, Grecia e Malta, nazioni che, con l’Italia, accolgono per prime i migranti che continuano a sbarcare, in fuga da guerre, violenze e povertà. Inutili le mediazioni che il governo ha tentato per mesi, con tanto di dati alla mano: per l’Europa, l’Italia non avrebbe fatto il suo dovere fino in fondo, pur salvando centinaia di persone ogni giorno.

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Da cosa parte la procedura d’infrazione per l’Italia? Dall’ormai famigerato Regolamento di Dublino che, nonostante le riunioni, gli accordi e le buone volontà (espresse solo a parole) dei Capi di Stato europei, è tutt’ora in vigore.

Come riporta il quotidiano di Torino, l’accusa per l’Italia è di aver violato il regolamento 604/2013 (il Regolamento di Dublino III), che stabilisce “i criteri e i meccanismi di determinazione dello Stato membro competente per l’esame di una domanda di protezione internazionale presentata in uno degli Stati membri da un cittadino di un paese terzo o da un apolide”. In pratica, viene contestato l’incapacità di gestire tutti i migranti secondo le regole europee che obbligano il Paese di arrivo a garantire la registrazione di tutti, anche di chi vede l’Italia solo come la prima tappa.

Dopo le grandi tragedie del mare, l’Europa si è dovuta mettere la mano sulla coscienza e sono piovuti annunci di nuove politiche in tema di immigrazione. Poi, è stata la volta della rotta dei Balcani: per giorni abbiamo visto migliaia di persone arrivare via terra dai confini orientali dell’Europa, tra muri innalzati dal nazionalismo e la solidarietà di comuni cittadini. Anche allora, dall’UE sono arrivati proclami per una nuova gestione dell’immigrazione. Risultato? Praticamente niente. Il 13 novembre è stato lo stesso presidente della Commissione, Jean-Claude Juncker, a dire che, se i negoziati continueranno a questi ritmi, “redistribuiremo i migranti nel 2101”.

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In tutto questo, ad agosto, nel bel mezzo delle trattative (e mentre uomini, donne e bambini continuavano a essere salvati dall’Italia), la Commissione ha scritto al governo italiano per avere notizie di circa 63mila migranti che risultavano spariti nel nulla: la cifra nasce dagli ingressi avvenuti fino ad allora (92mila) e le registrazioni secondo i dettami di Dublino (fotosegnalazione e impronte digitali) fatte a 30mila persone. L’Italia si è subito mossa e ha portato a Bruxelles dati diversi, dimostrando che, pur nelle difficoltà tra hotspot e redistribuzione (mancata), l’Italia stava facendo il suo dovere (oltre a salvare vite in mare).

Nulla da fare. Per l’UE, le regole di Dublino sono in vigore e finché non si cambiano, tocca all’Italia fare tutto il lavoro: salvare in mare, accogliere, registrare, fotosegnalare e prendere le impronte. Tutto, ovviamente, con i propri mezzi. Davvero l’Italia non ha fatto il suo dovere?

I dati Eurostat

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Secondo Eurostat, le richieste d’asilo in Europa nei primi tre mesi del 2015 sono state 410mila, il doppio dell’anno passato. Germania e Ungheria registrano il numero più alto (il 26%), seguite dalla Svezia (10%), Italia e Austria (7%). In particolare, il nostro Paese ha avuto 28.400 richieste con un balzo del +91% rispetto al 2014.

Non bastasse, il prefetto Mario Morcone, capo Dipartimento Immigrazione al Viminale, ha chiarito, in un’intervista a SkyTg24, che in Italia l’80% dei migranti viene identificato. “Siamo oltre quel dato, ormai siamo vicini al 100%”, ha chiarito. “I dati testimoniano che l’Italia sta facendo bene il suo lavoro, la Polizia di Stato sta facendo il massimo fotosegnalando quasi tutti quelli che arrivano. Ci sono piccole sacche di resistenza tra gli eritrei, ma qui si pone anche il problema dell’uso proporzionato della forza”, ha concluso.

Quest’ultima affermazione è particolarmente importante. Chi fugge dalla dittatura Eritrea spesso non vuole farsi fotografare e riconoscere: teme per i propri cari rimasti in patria. Quando il governo eritreo riconosce i fuggiaschi, se la prende con la famiglia e gli amici, arrivando a torture, carcere, violenze, fino alla morte. Oltre ai problemi tecnici (Come costringere chi non vuole farsi fotografare o prendere le impronte? Come far fronte a numeri così elevati?), ci sono implicazioni personali che vanno al di là di ogni regolamento europeo. Sarebbe ora che le istituzioni europee e i Paesi membri che tanto parlano di solidarietà iniziassero a fare sul serio, senza far pagare questa crisi a chi salva vite ogni giorno.

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