Il Delitto di Cogne: la storia triste del piccolo Samuele e di Anna Maria Franzoni

Annamaria Franzoni

Sono trascorsi 15 anni dal delitto di Cogne: era il 30 gennaio 2002, quando il piccolo Samuele Lorenzi, 3 anni, è stato assassinato, in una villetta di Montroz, frazione di Cogne, nel cuore della Valle d’Aosta. La sua vita è stata ferocemente stroncata da 17 colpi inferti da un’arma contundente mai ritrovata. Chi ha ucciso Samuele? Il delitto di Cogne si è trasformato subito in caso mediatico di forte impatto, per anni infatti, numerose trasmissioni televisive si sono occupate di questa tragedia. A uccidere Samuele, nonostante le articolate vicissitudini processuali, è stata la madre, Annamaria Franzoni, che è stata condannata in via definitiva dalla Corte di Cassazione, a 16 anni di carcere, nel 2008. La donna ha scontato in carcere soltanto 6 anni, dal 2014 è agli arresti domiciliari.

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DELITTO DI COGNE: LA RICOSTRUZIONE DEL CASO

La mattina del 30 gennaio 2002, alle ore 8.28, Annamaria Franzoni chiamò il 118 chiedendo, travolta dal panico, un rapido intervento sanitario: dichiarò che il figlio di 3 anni, nel proprio letto matrimoniale ‘vomitava sangue’.

La Franzoni, un minuto prima, alle ore 8.27, avvisò anche il medico di famiglia, Ada Satragni, la quale intervenne per prima e constatò un’improbabile causa naturale, un aneurisma cerebrale, tesi che sostenne ripetutamente. La dottoressa lavò anche il viso e il capo del piccolo e lo portò fuori casa, su una barella creata per l’emergenza. Con questo gesto fu compromessa irrimediabilmente la scena del delitto.

Quando arrivarono finalmente i soccorritori del 118, si accorsero immediatamente che le ferite presenti sul capo di Samuele erano certamente frutto di un feroce atto di violenza. Il piccolo fu dichiarato morto alle ore 9.55. L’autopsia confermò che il decesso fu dovuto a una serie di colpi sferrati al cranio del bambino.

Il 14 marzo 2002, Annamaria Franzoni, dopo essere stata iscritta nel registro degli indagati con l’accusa di omicidio aggravato, venne arrestata, tuttavia il Tribunale del Riesame di Bologna, il 30 marzo, ne ordinò la scarcerazione per carenza di indizi.

Nel 2004, la Franzoni fu condannata in primo grado con rito abbreviato alla pena di 30 anni di reclusione. Il 27 aprile 2007, si concluse il processo d’appello con una sentenza che confermò la colpevolezza, ma ridusse la pena a 16 anni, grazie alla concessione delle attenuanti generiche. I legali della Franzoni prepararono quindi il ricorso in Cassazione: in attesa dell’esito, la donna fu lasciata libera. Nel maggio del 2008, la Corte di Cassazione riconobbe definitivamente colpevole la madre di Samuele, Anna Maria Franzoni e ne dispose la reclusione nel carcere della Dozza a Bologna. Da allora una unica breve uscita: il 31 agosto 2010, per i funerali del suocero, Mario Lorenzi.

Successivamente gli avvocati hanno avanzato una serie di richieste di arresti domiciliari, con la motivazione di permettere alla madre di assistere il figlio minore nato nel 2003, sistematicamente respinte perché sospesa dalla potestà genitoriale; e di permessi premio, anch’essi respinti in considerazione della gravità del reato. Nell’ottobre 2013, ad Annamaria Franzoni è stato concesso il lavoro esterno dal carcere, mentre nel giugno del 2014 ha ottenuto i domiciliari: la Corte d’Assise d’Appello di Torino ha sentenziato che dopo 12 anni dal delitto di Cogne Annamaria Franzoni si può ritenere aliena al rischio di reiterazione del reato.

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DELITTO DI COGNE: GLI INDIZI CONTRO

Annamaria Franzoni ha mentito ripetutamente all’autorità giudiziaria, ha accusato la vicina del delitto e soprattutto ha agito con lucida freddezza, senza mai pentirsi realmente, insomma tutti gli indizi raccolti hanno portato a un’unica conclusione inequivocabile: la donna ha ucciso il figlio Samuele. Inoltre, la Cassazione, nella sentenza definitiva, ha sottolineato che in lei ‘non vi era alcun vizio di mente, ma una grande preoccupazione nutrita per la salute di Samuele’.

Ecco i principali indizi contro:

L’isolamento del luogo del delitto: la casa in cui la Franzoni viveva con la sua famiglia era piuttosto isolata, custodita in mezzo alla natura, in una piccola frazione, dove difficilmente si imbattevano persone non del posto.

L’assenza di un alibi per l’imputata, fatta eccezione per il breve tempo intercorso tra le 8,16 e le 8,24.

– L’omicida indossava i pantaloni del pigiama la casacca e gli zoccoli di Annamaria Franzoni.

La menzogna dell’imputata riguardo alle calzature da lei utilizzate appena rientrata in casa, dopo aver accompagnato il figlio Davide allo scuolabus.

Le giustificazioni poco credibili addotte dall’imputata riguardo alla mancata chiusura a chiave della porta di ingresso della casa, per non svegliare Samuele.

La spiccata freddezza della Franzoni subito dopo la scoperta del figlio in fin di vita: la donna non ha voluto seguire il piccolo Samuele in elicottero, nonostante fosse ancora vivo se pur in gravi condizioni, inoltre parlando col marito lo dava già per morto e ne aveva pertanto approfittato per chiedergli di fare subito un altro figlio.

L’assenza di inimicizie per la Franzoni e la sua famiglia: non avevano nemici nel paese in cui vivevano, al di là di piccoli screzi, assolutamente normali per una piccola comunità e quindi non sufficienti per essere ritenuti validi moventi per un omicidio di tale ferocia.

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