Glifosato in Argentina: la denuncia shock del reportage El costo humano

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In Argentina è in atto un dramma poco conosciuto e raccontato, tanto in patria quanto all’estero, derivante dall’uso del glifosato, un pesticida che ha conseguenze devastanti sulla salute della popolazione. A squarciare il velo dell’indifferenza e del silenzio ci ha pensato un fotografo emergente, Pablo Ernesto Piovano, che nel 2014 ha realizzato un reportage per documentare i danni del glifosato in Argentina, informando il mondo su quale sia la condizione in cui vive la popolazione del suo Paese, di coloro che lavorano o abitano nei pressi dei campi coltivati a soia Ogm, dove vengono utilizzati i diserbanti in dosi massicce, e in particolare questo erbicida che provoca i danni che potete vedere anche voi in questo scioccante video realizzato sulla base del lavoro di Piovano.

Il reportage, intitolato El costo humano de los agrotóxicos, ovvero il costo umano dei pesticidi, è stato realizzato lo scorso anno, ed è stato presentato anche in Italia all’edizione 2015 del Festival della fotografia etica di Lodi, un lavoro che ha vinto diversi premi internazionali, con merito. Tuttavia far sentire la voce sofferente del popolo argentino continua a rappresentare un’impresa, le informazioni circolano pochissimo, una pesante coltre di silenzio è piombata su tutta questa vicenda, e il perché è presto detto: Piovano con la sua inchiesta ha infatti coraggiosamente sfidato la Monsanto, una multinazionale che ha deciso di attuare in Argentina una massiccia coltivazione di soia geneticamente modificata, combinata con l’uso di Roundup, un diserbante al quale la soia è risultata essere resistente, e che al suo interno contiene proprio il famigerato glifosato.

Glifosato in Argentina: la storia

La scelta dell’Argentina di ricorrere all’uso del glifosato per la coltivazione e la commercializzazione di soia transgenica risale al 1996, e il peccato grave dell’allora governo fu quello di affidarsi esclusivamente ai dati forniti dalla Monsanto stessa, senza pensare di condurre un’indagine scientifica autonoma ed indipendente: in quasi 20 anni le coltivazioni di soia Ogm hanno raggiunto il 60 per cento di tutti i territori destinati ad uso agricolo, e solo nel 2012 sono stati spruzzati 370 milioni di litri di pesticidi tossici su 21 milioni di ettari di terreno, portando ad una distruzione del suolo che ha effetti nefasti su tutto il territorio. Amante dell’ambiente, Piovano ha deciso così di dedicare gran parte del suo tempo per documentare lo scempio, e tentare di mettere per sempre fine all’uso del glifosato, come ha spiegato lui stesso al magazine Burn, dedicato ai fotografi emergenti: ‘Ho lavorato per trovare prove su questa situazione, trascorrendo giorni interminabili da solo con la mia macchina fotografica, viaggiando per oltre seimila chilometri sulla mia auto di vent’anni, per dare il mio contributo affinché tutto questo finisca‘.

Le conseguenze del glifosato

Malformazioni ad ossa e tendini, ittiosi, una malattia che sgretola la pelle, patologie tumorali varie e ritardi mentali: sono solo alcune delle malattie riscontrate in uomini, donne e bambini che vivono a contatto con gli orti in cui è stato spruzzato l’erbicida tossico. Molti bambini nascono già malati perché le loro madri in gravidanza hanno continuato a vivere e lavorare presso questi campi off limits, o che almeno dovrebbero esserlo, se il governo argentino si decidesse ad attuare qualche contromisura contro le conseguenze del glifosato, che secondo un’indagine recente riportata sempre da Burn coinvolge ben 13,4 milioni di cittadini. Ma finora non ci sono stati né nuovi studi promossi dall’esecutivo, né commissioni d’inchiesta, men che mai azioni legali contro la Monsanto, che appare essere un nemico molto potente e difficile da ostacolare. La speranza è che la diffusione globale del reportage di Piovano possa scuotere le coscienze non solo dei gruppi ambientalisti internazionali, ma in primis dell’opinione pubblica argentina, affinché il mostro che ha generato tutto questo possa essere finalmente sconfitto.

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