Giornata aborto sicuro: addio pillola gratuita e obiettori di coscienza in aumento

Giornata aborto sicuro


Nella giornata sull’aborto sicuro le donne scoprono che le pillole contraccettive non sono più gratuite. Mentre la Legge 194, a causa dell’aumento dei medici obiettori di coscienza, in Italia resta sempre più sulla carta. Costringendo troppe donne a ricorrere ad aborti illegali e non sicuri per interrompere la gravidanza. Rischiando la vita, nel migliore dei casi.

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Proprio per questo l’ONU ha riconosciuto il 28 settembre come la giornata sull’aborto sicuro. L’iniziativa, partita da migliaia di gruppi e associazioni di tutto il mondo, è nata per sensibilizzare sul tema delle morti per aborto non sicuro. I numeri fanno paura: ogni anno muoiono quasi 50mila donne in tutto il mondo. E oltre 40 milioni di adolescenti sono costrette a portare avanti gravidanze indesiderate come quelle conseguenti allo stupro. Silvana Agatone, presidente di LAIGA (Libera associazione di medici non obiettori di coscienza in Italia) spiega che “le pratiche illegali per abortire rimangono la principale causa di morte delle donne in età fertile nel mondo, ecco perché bisogna affermare l’importanza di questa giornata”.

La giornata sull’aborto sicuro è molto sentita in Italia, dove di fatto praticare l’aborto legale resta ancora difficile. Non perché non ci sia una legge, ma perché la 194, quella che dal 1978 ha reso legale l’interruzione volontaria di gravidanza, rimane spesso inapplicata. Questo perché i medici ginecologi obiettori di coscienza (riconosciuti dalla stessa legge) sono il 71%. Una percentuale altissima e in continuo aumento: nel 2006 erano il 69,2%. Motivo per cui nonostante ci sia una legge non è semplice per una donna abortire in modo legale e sicuro.

Chi pratica l’aborto discriminato dagli obiettori di coscienza
Molti obiettori di coscienza, inoltre, arrivano a ostacolare e discriminare i colleghi che invece l’aborto lo praticano. “A noi medici rimasti ad applicare questa legge viene reso ancora più difficoltoso il lavoro. Posso testimoniare di decine di episodi su tutto il territorio italiano”, denuncia Silvana Agatone. Come il medico a cui i colleghi obiettori si rifiutavano di lavare i ferri con cui operava, costringendolo a lavarseli da solo. Come le portantine di un ospedale pugliese che si sono rifiutate di spostare le barelle con le pazienti in attesa di aborto. “O come il medico messo sotto inchiesta in Calabria per aver praticato un aborto terapeutico, cioè per motivi di salute oltre i 90 giorni, fattispecie del tutto prevista dalla legge”, aggiunge Agatone. Insomma, non c’è da stupirsi se molte italiane sono costrette a ricorrere agli aborti illegali, spesso mortali.

Puntuale è arrivata la bacchettata da parte dall’Europa, dove ci sono Paesi in cui la situazione è pure peggiore. In Polonia o Irlanda, ad esempio, abortire è praticamente vietato se non in casi estremi. In Polonia è stata proposta una legge per cancellare alcuni di quei casi estremi: pericolo di vita per la madre, stupro e incesto. Le situazioni in cui anche le persone contrarie per principio all’aborto arrivano ad accettarlo.

Addio pillola gratuita
In tutto ciò, in Italia anche le ultime pillole anticoncezionali a carico del servizio sanitario nazionale sono diventate a pagamento. Da due mesi quelle che si trovavano in fascia A (a carico dello Stato, appunto) sono state declassate a fascia C, a carico dei cittadini. Questo l’elenco delle pillole a pagamento: Triminulet, Planum, Ginodem, Milvane, Etinilestradiolo e Gestodene Mylan Generics, Practil, Kipling, Gestodiol, Antela, Desogestrel Etinilestradiolo Aurobindo, Estmar, Minulet, Brilleve.

Immancabili le polemiche. L’AIFA (l’Agenzia italiana del farmaco) assicura che si tratta di una manovra di contenimento dei costi e che la politica (leggi: Fertility Day) non c’entra niente. L’associazione “No grazie pago io” (un gruppo di medici che si batte per l’indipendenza dall’industria farmaceutica) denuncia che le ripercussioni ricadranno sulla fascia sociale più bassa. Le pillole in questione erano infatti le meno costose, con prezzo dai 3 ai 5 euro: “Stiamo parlando di persone per cui tre euro sono un chilo di pane – spiegano le ginecologhe dell’associazione – allo stato attuale l’unica pratica anticoncezionale rimborsata dal servizio sanitario nazionale è l’aborto”. Un paradosso.

Emilio Arisi, presidente della Società medica italiana per la contraccezione, ribatte: “Questi contraccettivi sono poco recenti e poco usati, probabilmente da non più del 5% dell’utenza. Anche se è vero che doverli pagare potrebbe mettere in difficoltà qualcuno per cui rappresentavano una buona soluzione”. Concorda Mario Puiatti, presidente dell’AIED (l’associazione italiana per l’educazione demografica): “Queste pillole erano preziose per le ragazze più giovani o per le donne straniere per cui anche pochi euro possono fare la differenza escludendole si rischia di danneggiare una fascia debole di utenza”.

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