Gianni Alemanno indagato per mafia: ‘Portava i soldi in Argentina’

Viaggi in Argentina con valigette piene di soldi. Così Gianni Alemanno avrebbe portato all’estero parte dei ricavi arrivati dalle tangenti per gli accordi con il clan di Mafia Capitale. A dirlo tre degli arrestati nel corso dell’operazione in un’intercettazione telefonica ascoltata dagli uomini del Ros. Il 31 gennaio scorso Luca Odevaine, ex vice capo gabinetto dell’amministrazione Veltroni e fino allo scorso martedì, giorno dell’arresto, nel coordinamento per i rifugiati del Viminale, parla con Mario Schina e Sandro Coltellacci, rispettivamente ex assessore del Decoro Urbano e dirigente di una cooperativa. Si parla di una seconda persona, non identificata: secondo il loro racconto, l’ex sindaco di Roma si sarebbe imbarcato alla volta del Sudamerica con valige piene di soldi.

Odevaine parla di questa seconda persona. È al telefono con due dei presunti complici. “Abita in questo palazzo, che figlio di m… ha litigato con Alemanno, per soldi se so’ scannati”, dice. Poi il passaggio chiave. “Sai che Alemanno si è portato via, ha fatto quattro viaggi lui e il figlio con le valige piene de’ soldi in Argentina, se so’ portati con le valige piene de contanti, ma te sembra normale che un sindaco… me l’ha detto questi de Polaria”. Schina chiede come mai nessuno ha controllato il bagaglio dell’ex primo cittadino. “No, è passato al varco riservato”, è la risposta di Odevaine che definisce Alemanno “un vero attore“.

C’è poi il riferimento a un furto subito da Alemanno, definito “strano” nel corso della conversazione. “Credo hanno litigato perché Alemanno ha pensato che ce li ha mandati questo”, è l’ipotesi di cui i due discutono al telefono.

Gli investigatori stanno procedendo alle verifiche e hanno trovato un primo riscostro di un viaggio in Argentina fatto da Alemanno per Capodanno, ma le indagini sono ancora in corso.

Netta la smentita dell’ex sindaco. “Millanteria totalmente infondata. Non ho portato mai soldi all’estero, tantomeno in Argentina” ha spiegato. “Per quanto riguarda il viaggio in Argentina ci sono stato per pochi giorni con la mia famiglia e un folto gruppo di amici a Capodanno 2011-2012 per andare a vedere i ghiacciai della Patagonia”.

Anche sul presunto furto ordito dagli uomini di Carminati l’ex sindaco si dice sereno. “Il furto di cui si parla è avvenuto a ottobre 2013 e basta aprire Google per constatare che è stato ampiamente pubblicizzato”. In effetti, all’epoca ne parlarono tutti i media romani. Alemanno subì un furto nell’attico di via Aladino Govoni, quando dei ladri, secondo la ricostruzione che fece lui stesso alla stampa, si calarono dall’alto, portandosi via solo alcuni gioielli. In quel periodo molti vip residenti a Roma subirono dei furti.

Secondo gli uomini del Ros però di questo furto “non ci sono riscontri sulle banche dati, in quanto non risultano essere state sporte denunce né da Giovanni Alemanno, né dalla moglie convivente, Isabella Rauti”.

Le accuse
Un legame tra mafia e politica che ha portato a Roma alla costruzione di un intreccio solido tra criminali e amministratori, derubando la città. L’inchiesta Mafia Capitale – Mondo di mezzo ha portato all’iscrizione nel registro degli indagati dell’ex sindaco capitolino Gianni Alemanno, in carica dal 2008 al 2013. La sua amministrazione e i suoi uomini di fiducia avevano “contatti diretti e favoriva il sodalizio” con la mafia di Massimo Carminati; il denaro pubblico veniva usato per alimentare le operazioni di Salvarore Buzzi, numero uno della Cooperativa “29 giugno”, colui che sugli immigrati ci guadagna e tanto. Alemanno si difende dall’accusa di associazione a delinquere di stampo mafioso e corruzione aggravata, si dice estraneo e fiducioso nella magistratura; il ministro Angelino Alfano ha definito l’indagine “solida”, augurandosi che l’ex sindaco possa dimostrare la sua estraneità.

Tu c’hai idea quanto ce guadagno sugli immigrati? Il traffico di droga rende meno”: è solo una delle tante intercettazioni di Buzzi, il braccio destro dell’organizzazione che aveva trovato un modo per sfruttare l’emergenza immigrati. Soldi pubblici che vengono dati per gestire situazioni delicate come sono quelle dei migranti (e che oggi poi portano a situazioni come quella di Tor Sapienza), risuccchiati da Buzzi e soci “con metodo eminentemente corruttivo”, come si legge nell’ordinanza di applicazione delle misure cautelari firmata dal gip Flavia Costantini, “alterando per un verso i processi decisionali dei decisori pubblici, per altro verso i meccanismi fisiologici dell’allocazione delle risorse economiche gestite dalla PA”.

Il nome di Alemanno è finito nelle indagini perché i suoi uomini più fidati erano in contatto diretto con Buzzi, braccio destro dell’ex Nar che si è preso il potere, quello vero, a Roma, e con lo stesso Carminati.

Rapporti diretti con l’ex sindaco al momento non risultano: quello che invece emerge dalle indagini è che le amicizie dell’ex sindaco erano legate alla cupola di Carminati. Se c’era un problema per dirottare fondi pubblici negli appalti, ecco che intervenivano gli uomini di Alemanno ad aiutare i criminali che, a loro volta, era “a disposizione”.

Il clan per esempio decideva i nomi da mettere ai vertici delle municipalizzate, l’ufficio e il sindaco obbedivano. In cambio arrivavano finanziamenti alla campagna elettorale per le europee, soldi per il nuovo gruppo politico “Nuova Italia”, claque elettorale ai comizi, voti, cene elettorali.

Uno scambio politico-mafioso. In una delle intercettazioni del 23 novembre del 2012, Alemanno dice al suo capo Dipartimento servizi sociali di aver rimediato quindici milioni per finanziare l’ampliamento del campo nomadi di Castel Romano su cui il clan di Carminati aveva messo le mani. Per questo Buzzi avrebbe fatto partire 75mila euro per cene e fondi a Nuova Italia.

Il legame tra l’ex sindaco e il boss era creato da una rete di collaborazioni e rapporti diretti con i suoi uomini di fiducia: c’era Antonio Lucarelli, capo della segreteria, a tenere i contatti al telefono, incontrandosi anche a pranzo con il boss. Lo sapevano tutti che di Carminati “ch’hanno paura”, come dice Buzzi in un’altra intercettazioni del 20 aprile 2013, ma se il boss aveva bisogno, bastava una telefonata perché Lucarelli o chi per lui lo incontrasse di persona.

Se, come si legge nell’ordinanza del gip, non era Alemanno ad avere contatti diretti, c’erano i suoi a farlo, come Luca Gramazio, allora capogruppo comunale dell’ex PdL, ora alla Regione, e Fabrizio Franco Testa. Insieme a Buzzi e Carminati, scelgono chi mettere a capo dell’Ama, come Giuseppe Berti nel cda e Giovanni Fiscon alla direzione generale, uomini che per gli investigatori sono “espressione diretta” del clan criminale. In cambio la società di Buzzi riceve un appalto da tre milioni per la raccolta differenziata e quella delle foglie che poi è finito nell’inchiesta.

Ancora Buzzi è al centro di un’intercettazione telefonica mentre dialoga con un suo collaboratore, Giovanni Campennì. Si stanno per concludere le elezioni amministrative nel 2013, Alemanno si è ricandidato e il gruppo si è dato da fare, li hanno comprati tutti quelli dell’ex sindaco, con tanto di nomi dei possibili assessori a loro vicini perché “comprati o amici”. In caso di vittoria erano a posto; avessero vinto “gli altri”, si vedrà, anche perché ognuno paga i suoi.

Alemanno si è difeso e ha emesso un comunicato stampa in cui chiarisce la sua totale estraneità in quello che definisce “un tentativo di attacco politico”, come ha detto ai suoi. “Chi mi conosce sa bene che organizzazioni mafiose e criminali di ogni genere io le ho sempre combattute a viso aperto e senza indulgenza. Dimostrerò la mia totale estraneità. Sono sicuro – conclude – che il lavoro della Magistratura, dopo queste fasi iniziali, si concluderà con un pieno proscioglimento nei miei confronti”.

Chi è Gianni Alemanno
Ex sindaco di Roma dal 2008 al 2013, Gianni Alemanno è un nome di spicco della politica nazionale. Entrato giovanissimo in politica nelle fila dell’allora MSI, con la svolta di Fiuggi entra in Alleanza Nazionale, venendo eletto in Parlamento per la prima volta nel 1994, rieletto nel 2001, quando diventa ministro delle Politiche agricole e forestali nel III governo Berlusconi. Nel 2006 scende in campo alle amministrative a Roma contro Walter Veltroni, perdendo la sfida: alle dimissioni dell’allora sindaco che si candidò come premier, diventa primo cittadino della Capitale, battendo il candidato del centrosinistra Francesco Rutelli. Si ricandida nel 2013 contro Ignazio Marino, perdendo la sfida. Nel 2013 lascia il PdL per entrare in Fratelli d’Italia con cui si candida alle Europee senza venir eletto.

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