Eutanasia legale, intervista a Marco Cappato: “Non confondiamo una battaglia di libertà con una battaglia di morte”

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Eutanasia legale e interruzione dei trattamenti sanitari. Due argomenti spinosi, che spesso nessuno vuole affrontare ma che diventano ciclicamente d’attualità grazie a casi sensazionali. Tutti ricorderemo Piergiorgio Welby ed Eluana Englaro, adesso invece è l’estero che torna a far discutere, con Brittany Maynard, la 29enne americana con un tumore al cervello incurabile che ha deciso di morire. Si tratta davvero sempre di una questione etica e giuridica, oppure gli ostacoli per affrontare questo problema sono diversi e più complessi? Qualcuno si può prendere il diritto di decidere come morire, è una libertà che ci viene negata? Ne abbiamo parlato in un’intervista per Pourfemme con Marco Cappato, tesoriere dell’Associazione Luca Coscioni, da anni impegnati nella battaglia per ottenere un’eutanasia legale.

La Costituzione sancisce il diritto di decidere quando fermarsi, quando non accanirsi a livello terapeutico per quel che riguarda i trattamenti sanitari ma non sempre la teoria corrisponde alla pratica: “Ci sono casi in cui per interrompere un trattamento sanitario è necessario un aiuto attivo da parte di un medico e se non si trova questo medico, il diritto è solo sulla carta, l’impedimento è quindi di effettiva disponibilità – afferma Cappato – il secondo invece riguarda quei pazienti che non sono attaccati a un respiratore, come i malati di cancro terminale. Qui il diritto costituzionale dell’interrompere un trattamento non è sufficiente a garantire che sia imposta una sofferenza che la persona non vuole più e una fine diversa da quella che la persona sceglie”.

Un impedimento reale e tangibile, che i malati devono affrontare con sofferenza tutti i giorni ma che non sembra smuovere più di tanto la coscienza della classe politica che, nonostante abbia avuto più volte la possibilità di discuterne apertamente, ha preferito un silenzio assordante: “L’Associazione Luca Coscioni ha depositato una proposta di legge di legalizzazione dell’eutanasia e di chiarezza per quanto riguarda l’interruzione delle terapie a settembre 2013. In tutto questo tempo, il Parlamento italiano non ha mai nemmeno discusso per due minuti sulla proposta, non hanno fatto un’audizione, e tutti i gruppi sono d’accordo, o d’accordo nel silenzio”.

Se i partiti italiani sembrano fare orecchie da mercante, l’opinione pubblica sembra pronta ad affrontare il tema di una regolamentazione: “In Italia ci limitiamo ai casi sensazionali, ma tra un caso e l’altro non esiste un dibattito vero televisivo che coinvolga milioni di telespettatori tra le ragioni a favore e le ragioni contro e la politica scappa terrorizzata. I sondaggi dicono invece che la maggioranza degli italiani, e nel caso del testamento biologico, la stragrande maggioranza degli italiani, sono pronti e d’accordo ad avere delle regole che si sostituiscano alla legge della giungla in vigore” dichiara Cappato. Rimane quindi la volontà di nascondere sotto il tappeto un problema che costringe i malati a gesti estremi, come ci raccontano tragicamente la fine di Mario Monicelli o Carlo Lizzani, entrambi malati, che si lanciarono dalla finestra per porre fine alle loro sofferenze.

Tutto questo ce lo insegnò a suo tempo Piergiorgio Welby: “Il grande messaggio che arriva dalla sua esperienza di vita è quella di non confondere una battaglia di libertà con una battaglia di morte. Ognuno l’affronta in modo diverso, se vogliamo dare invece una risposta per tutti perché imposta da uno Stato etico, allora diamo una risposta sbagliata per tutti” conclude Cappato.

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